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Tenersi in piedi in un mondo di Gretini

di Francesco Di Giuseppe Fridays for future.

Oltre un milione di persone hanno partecipato questa mattina - secondo i media - alla manifestazione lanciata dalla ormai famosa Greta Thumberg, la ragazzina svedese che si batte contro l'inquinamento e i cambiamenti climatici, che incontra i potenti del mondo per informarli del fatto che inquinare fa male, come se nessuno se ne fosse mai accorto prima.

Oltre un milione di ragazzini con le facce dipinte di verde, che cercavano solo una ragione per non andare a scuola e l'hanno trovata con la complicità del governo italiano, il quale ha ritenuto opportuno chiedere ai dirigenti scolastici di giustificare le assenze di quegli studenti che questa mattina si sarebbero recati in piazza con qualche strano cartello in mano, realizzato sicuramente con vernici ecocompatibili, salvo poi consumare bevande in bottigliette di plastica e producendo una quantità industriale di rifiuti. Quegli stessi ragazzi che hanno gli armadi pieni di capi marcati Bershka o H&M, con una qualità di realizzazione bassissima che induce a farne aumentare sempre di più la produzione. Quegli stessi ragazzi che non campano senza il telefonino, senza internet, che non studiano dai libri ma da Wikipedia. Quegli stessi ragazzi che mangiano frutta e verdura solo confezionata. La generazione usa e getta.

Che si tratti di scarpe o di sentimenti.

Ipocrisia e ignoranza. La formula letale che disintegrerà il nostro pianeta. Come può un governo indicare agli studenti quali sono le manifestazioni giuste cui partecipare? È questa la domanda che tutti dovrebbero porsi. Si tratta di una forma di protesta costruita dai governi stessi, un modo per distogliere l'attenzione dal problema reale: i grandi produttori orientali, che tentano di accaparrarsi grosse fette di mercato nei nostri Paesi. Mai visto Greta attaccare l'India o la Cina?

L’ambiente è malato, l’ambientalismo non se la passa certo meglio. In tempi ormai lontani, eventi come la nube tossica di Seveso, il disastro della “mezzanotte e cinque” a Bhopal, le conseguenze visibili della tragedia di Chernobyl, del disboscamento dell’Amazzonia o dello sbiancamento della Grande barriera corallina hanno contribuito all’emergere di una coscienza ecologica di massa che nel nostro Paese si è sostanziata in vari modi, dalle proteste antinucleari a Montalto di Castro al successo del movimento di Slow Food contro le sofisticazioni alimentari e l’agricoltura imbottita di pesticidi.

Ma la fase dell’ambientalismo di massa – a parte estemporanee fiammate, come quella dei referendum del 2011 – si è chiusa perfino prima che la crisi del 2008 rovesciasse fin dalle fondamenta il rapporto tra governanti e governati. La triste parabola dei partiti verdi, piombati nell’irrilevanza o rifluiti nell’alveo della più stereotipica sinistra radicale, è solo l’indicatore più visibile di questo declino.

In mano ai ceti neoliberali egemoni dopo la fine della guerra fredda e all’agenda dei loro media, la questione ambientale è diventata sovente un orpello per imbellettare discorsi vuoti di sostanza, se non proprio una cinghia di trasmissione di prebende assessorili o di supercazzole pubblicitarie all’insegna del greenwashing.

Quanto il discorso di Greta Thunberg si discosti o meno da questo ambientalismo liberale, gonfio di richiami morali ma povero di rivendicazioni politiche, sarebbe argomento da approfondire. Quel che si può dire per ora è che la mobilitazione dei Fridays for Future è stata incasellata nel blocco dell'”antisovranismo” e ha riscosso attestati di piena solidarietà da istituzioni e mezzi di comunicazione più allineati con l’establishment.

Tralasciando le critiche triviali rivolte alla sedicenne svedese sul piano personale, non c’è dubbio che qualche domanda sul “fenomeno Thunberg” come evento mediatico sia lecito avanzarla. Ma anche al di là di questo, è lecito chiedersi quanto possa giovare l’attuale ondata di emotività attorno a un tema complesso dove i contenuti tecnico-scientifici sono dirimenti, e a proposito del quale il mondo ambientalista si è sempre fatto forza proprio della sua capacità di produrre una riflessione critica e competente.

Detto in altre parole, il rischio è che – una volta passata la sbornia di interviste e candidature al Nobel – la crociata verde dei gretini si esaurisca senza lasciare traccia duratura di sé, con i veri colpevoli dell’inquinamento impuniti.

Infatti Cina, India e altri Paesi asiatici come Indonesia, Filippine, Vietnam e Sri Lanka sono responsabili del 90% dell’inquinamento di plastica negli oceani e sono in vetta alle classifiche per rilascio di C02 eppure la paladina dell’ambiente non si è mai recata in visita nell’Estremo Oriente per incontrare leader locali o per sensibilizzare la popolazione circa le cause e gli effetti del cambiamento climatico laddove davvero risiede il problema.

Gli strali dei massimi esponenti dell’ambientalismo arcobaleno, infatti, sono stati sempre diretti contro l’Occidente in generale, e in particolar modo, contro il genere umano che abita da millenni il continente europeo, che secondo le logiche del mondialismo green dovrebbe fare meno figli per inquinare di meno.

Nessun appello alla denatalità e nessuna campagna di sensibilizzazione sugli effetti della “bomba demografica”, però, sono mai stati attivati da Greta e dai suoi seguaci in quei Paesi dell’Africa Subsahariana o in quegli Stati asiatici che continuano imperterriti a figliare a volontà e che soprattutto ad oggi risultano incapaci di assicurare un miglioramento delle condizioni economiche alle future generazioni, destinate a sfuggire dalla miseria verso il mondo “luccicante” a loro più vicino.

Secondo le nuove proiezioni demografiche, infatti, più della metà dell'aumento demografico previsto da qui al 2050 sarà concentrato in India, Nigeria, Pakistan, Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia ed Egitto ma il problema, secondo la narrazione dei gretini, risiede soltanto in Europa o Negli USA e se questi sono guidati da forze sovraniste sono in cima alla lista degli sporcaccioni e inquinatori seriali.

La nostra generazione ha bisogno di altro, non dell’ennesima una carnevalata.

Per fermare i cambiamenti climatici, per salvaguardare l'ambiente in cui i nostri figli vivranno, non servono stupidi slogan, non una povera ragazzina sfruttata dai suoi genitori per tornaconti propri, ma di azioni serie.

Proposta di Fratelli d'Italia era quella di imporre pesanti dazi di importazione su prodotti provenienti da nazioni che non rispettano i nostri stessi standard ambientali. Soluzione, questa, utile anche a riaprire la corsa ai marchi Made in Italy, garanzia di qualità da sempre.

Azioni come quelle di Paolo Colli, che nel 1998 fondò Fare Verde, la prima associazione ambientalista di destra, che da ormai oltre 20 anni agisce quotidianamente in favore della tutela ambientale, che passò la vita a combattere in solitaria una guerra contro le ecomafie.

Ai proclami di Greta, al suo sguardo inferocito, alla sua finta rabbia e alle sue rivolte pagate dal “padrone”, noi preferiamo il faccione sognante di Paolo, che solo contro tutti ha posto la prima pietra. Preferiamo le sue azioni. Il suo esempio. La sua libertà. Il suo essere avanguardia.

Nelle prossime settimane Gioventù Nazionale organizzerà iniziative concrete a difesa dell’ambiente e per sensibilizzare i nostri coetanei su un tema così delicato. Sarà il banco di prova di questa generazione: tra chi crede davvero nell’amore della propria terra e chi urla solo slogan.

Perché la rivoluzione non si fa col permesso dei potenti!


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