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A poco prezzo, ma a che prezzo?

di Ilaria Telesca


Il 5 novembre ha aperto a Parigi il primo negozio fisico di Shein.

Parigi, una delle capitali mondiali della moda.

Shein, piattaforma di fast fashion ad oggi più influente nel mondo.


Tutto ciò poco dopo lo scoppio dell’ennesima polemica-inchiesta sul colosso cinese, che avrebbe messo in vendita bambole gonfiabili con l’aspetto di bambine e con descrizione esplicita sull’utilizzo sessuale delle stesse.


Probabilmente tutto questo non dovrebbe neanche essere commentato, vista la gravità di ciò che ruota intorno a Shein, eppure risulta necessario parlarne dato che continua ad essere il brand che più facilmente varca le soglie delle nostre case.


Nel periodo della pandemia l’economia reale ha subìto un attacco atroce da parte delle multinazionali e delle piattaforme online. Un click ha facilmente sostituito la prova dell’abito e il consiglio dei negozianti, la fugace visita del corriere ha sostituito la bellezza di un’uscita in famiglia o tra amici. Ma soprattutto la mente si è addormentata in un loop di continua pubblicità e di conseguente necessità di acquisto.


Un acquisto inconsapevole, dettato da un sistema consumistico che spreme l’acquirente fino al punto da fargli preferire la pessima quantità, distruggendo una qualità che è, invece, il risultato di idee, lavoro e sacrificio.

Al contrario, l’uomo si è abituato a disinteressarsi del processo di produzione che, nel caso di Shein, è particolarmente invasivo da ogni punto di vista: ecologico, economico e soprattutto sociale.


La grande azienda cinese è stata, infatti, più volte interessata da accuse riguardanti le condizioni lavorative dei suoi dipendenti, costretti a turni giornalieri massacranti (arrivando a dormire e a lavarsi in fabbrica), retribuzioni eccessivamente basse e ambienti di lavoro insalubri.

Per non parlare dei disastri ambientali causati sia dai pessimi materiali utilizzati per la produzione dell'abbigliamento, tra cui ingenti quantità di prodotti petroliferi, sintetici e chimici, sia proprio dal volume della produzione continua e dello smaltimento che tale pratica genera.


Shein è il nuovo Mc Donald's, uno strumento capitalista che annienta facilmente ogni tipo di tradizione. Mc Donald's lo ha fatto con la cultura culinaria, Shein lo fa con quella tessile.


Nonostante si stia diffondendo una sorta di "ritorno al vintage" e all'usato, i colossi del fast fashion dominano sempre più ogni piattaforma, anche grazie ai cari influencers che lucrano sponsorizzando questi pessimi capi di abbigliamento, spesso ordinando uno stesso prodotto in diverse taglie e promuovendo la politica del reso, che alimenta ancor più le problematiche ambientali dovute al trasporto o alla rimozione dei prodotti in eccesso.


All'apertura del negozio Shein a Parigi la fila di persone era interminabile.

È diventata virale un'intervista di "The Guardian" in cui uno dei clienti sostiene di avere 200€ al mese da spendere in vestiti e, con quella somma, può comprare 50 magliette da Shein oppure 3 magliette Made in France. La risposta, purtroppo, non è in discussione, perchè nel XXI secolo è importante avere: non importa cosa si abbia, ma quanto.


Meglio 50 magliette sintetiche che 3 di buona qualità.

Meglio 10 panini salvaeuro che un'ottima pizza.

Meglio 1000 followers che 3 amici leali.

Meglio un'informazione al minuto che fermarsi ad analizzare un avvenimento.

Meglio la superficialità che la cultura.


A questo si sta abituando la società: siamo in un'era in cui anche lo scandalo di bambole sessuali - ribadiamo, pedopornografiche - vendute tranquillamente tra una tshirt in 100% poliestere e l'altra non genera ribrezzo, distacco e rabbia nei confronti di queste aziende.


Noi abbiamo il compito - sia come generazione, sia come militanti - di distinguerci dalla massa e di dare l’esempio.

Si avvicina il periodo di Natale e dei regali, perciò diamoci una regola: compriamo locale. Evitiamo le piattaforme online e torniamo a ripopolare i negozi delle nostre città. Compriamo Made in Italy e sosteniamo la nostra economia reale.

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