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Gabriele Pannofino

Ahi, serva Europa!

di Gabriele Pannofino


I dati che arrivano da più fonti sono inequivocabili: l’Italia e l’Europa sono da tempo entrate in un buio inverno demografico che non fa intravedere margini di miglioramento.


Lo stesso tuttavia non può dirsi per una nutrita maggioranza di paesi non europei del continente africano, tra cui spiccano le realtà subsahariane, e l’India, che ha fiaccato il primato cinese. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, nel 2058 la sola Nigeria avrà al

suo attivo più di quattrocento milioni di abitanti, superando l’ammontare totale dei cittadini dell’Unione Europea: nel 2100 il paese africano conterebbe quasi duecento milioni di abitanti in più dell’Unione.


I paesi più ricchi, caratterizzati da un ordinamento socio-economico postindustriale, registreranno una decrescita generalizzata dei tassi di natalità mentre quelli protoindustriali vedranno un’impennata del tasso di fertilità.


Un dato che dovrebbe farci riflettere? L’aumento delle popolazioni più ricche sarà assicurato soltanto dalle immigrazioni.

La nostra ricchezza e industrializzazione, sulla quale ci siamo comodamente adagiati, sarà forse il nostro limite più letale.


Machiavelli ragionando su i “principii universali” delle città si era reso conto che la fertilità del territorio, coadiuvata dal diritto, era la conditio sine qua non di uno stato sano: “Non potendo gli uomini assicurarsi se non con la potenza, è necessario fuggire questa sterilità del paese, e porsi in luoghi fertilissimi”.

Nel momento in cui coincidono inevitabilmente un’inedita decrescita demografica e un

regresso qualitativo dell’ambiente in cui viviamo, non ci si può più aspettare di affacciarsi al mondo con pretese di autorità.


L’Europa ha storicamente avuto l’opportunità di trovarsi in una condizione climatica privilegiata, ma evidentemente ha deciso di sperperare la sua eredità.

Da quando la legittimità del potere non è più assicurata da un diritto metafisico o religioso (fenomeno preminentemente europeo), è divenuto chiaro come il potere si misuri esclusivamente in termini di potenza: la potenza pura giustifica il potere.

Se l'Europa si trovasse a corto di uomini, che, in un mondo aperto e globalizzato, sono al

contempo l’humus del potere e i vettori di esso, si troverebbe davvero davanti alla sua fine non necessariamente definitiva, ma almeno come potenza geopolitica.

In ogni tempo diventare potenti non hai mai implicato unicamente il ricorso alle armi ma piuttosto il saper imporsi con i propri uomini, gli uomini che educano e guidano la società del futuro.


Ora, si vede bene come la crescita esponenziale di popoli non europei, se non adeguatamente controbilanciata dalle politiche del nostro continente, potrebbe minacciare in modo preoccupante il mondo eurocentrico e il suo consistente patrimonio culturale.

Qualcuno dirà: “ Ben venga, ce lo meritiamo noi colonizzatori! ”...io dico che dovremmo farla finita con questo autoinflitto senso di colpa.


I confini delle identità collettive sono mobili e intangibili, ma si può dare come assunto che queste stesse identità acquistano significato solo nel momento in cui ci sia qualcuno

disposto a difenderle, rovinano quando la loro salvezza non viene considerata imprescindibile.

Al momento le identità nazionali e sovranazionali (come quella europea) sono in crisi, ma chi ci può assicurare che il loro superamento possa apportare solo e soltanto benefici all’umanità? Che questa metamorfosi non possa rivelare, prima o dopo, tutta la sua forza distruttrice nei confronti del popolo italiano, europeo, umano?




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