Di Giuseppe Ferrante
Estate 1972. L’odio e le violenze tra comunisti e fascisti non avevano ancora raggiunto l’apice degli anni di piombo. Ma quel maledetto sette di luglio a Salerno faceva troppo caldo…
Una giornata qualunque per una Città stabile dal punto di vista dell’attivismo politico, a differenza delle ben più indomite Roma e Milano. Una giornata qualunque per Carlo Falvella, 19enne dall’aria mite e tranquilla, presidente del FUAN di Salerno e studente universitario che aveva scelto la facoltà di filosofia “perché potrei comunque continuare a insegnarla anche senza dover scrivere. Ma devo far presto a laurearmi. Devo assolutamente riuscirci prima di diventare cieco”. Accettare i limiti per superarli e scrivere con fierezza il proprio destino: secondo i medici, infatti, nonostante Carlo si fosse sottoposto a ben tre interventi chirurgici agli occhi, sarebbe diventato comunque cieco entro i trent’anni. Eppure, a stroncargli la carriera universitaria, la vita, non fu la sua rara malattia, ma la lama della violenza anarchica.
Erano le 19 e 30 di sera, quando sul lungomare di Salerno, Carlo Falvella ed il suo amico Giovanni Alfinito ebbero un primo incontro e qualche diverbio con l’anarchico Giovanni Marini e, al netto di tutti i racconti che furono fatti introno alla vicenda, le uniche certezze sono il secondo appuntamento di via Velia tra anarchici e missini con Marini che era tornato a casa per chiamare “rinforzi” e per procurarsi un coltello e la ferita mortale che Falvella si ritrovò nell’addome. Fu trasportato d’urgenza in ospedale grazie ad un’auto fermata da Alfinito proprio sul lungomare, ma non ci fu niente da fare: morì durante l’intervento.
“Una scintilla d’odio che balugina in una giornata d’estate” come ha scritto Luca Telese nel libro Cuori Neri.
Il responsabile si consegnò autonomamente alle forze dell’ordine: Giovanni Marini confessò tutto sin da subito. Nonostante ciò, nei giorni successivi, i partiti di sinistra, anche di quella parlamentare, concordavano sul fatto che, in fondo in fondo, Falvella se la fosse cercata. Come se non bastasse, l’associazione Soccorso Rosso assicurò anche assistenza legale al povero accoltellatore invocando per l’accoltellatore un’assoluzione con forma piena. Ironia della sorte, ci andarono vicino: il reo confesso se la cavò con una pena di appena nove anni di detenzione, con appena sette scontati dietro le sbarre.
A Salerno, in via Velia, il 7 di luglio di ogni anno, ci sarà sempre chi ricorda il ruggito d’orgoglio della madre di Carlo durante l’esequie del figlio “hanno ucciso mio figlio, ma non hanno ucciso la sua Idea. Sì, sono missina e me ne vanto”.
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