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El Che

Di Lorenzo Migliazza


Ernesto Guevara de la Serna, detto "el Che", nacque a Rosario, in Argentina, il 14 giugno

1928, da una famiglia borghese.

Nel dicembre 1951 il Che, accompagnato dal suo amico Alberto Granado, salì in

groppa alla sua motocicletta Norton 500 (soprannominata "La Poderosa II" da Alberto)

per fare un grande viaggio in Sud America.

Durante il viaggio, il Che incontrò i minatori di rame in Cile, scoprendo le condizioni

disumane in cui vivevano, e in Colombia scoprì come gli indigeni (sopravvissuti alle

conquiste coloniali dei secoli precedenti) vivessero pietosamente.

In Che Guevara scoppiò un senso di rivalsa e di voglia di combattere per le ingiustizie

storiche e sociali.

Queste sue convinzioni si rafforzarono a Città del Messico, in seguito a una nottata

passata a parlare con Fidel Castro. Castro, che era un rivoluzionario cubano amnistiato

nel ‘55 per il tentativo di rivoluzione del 26 luglio 1953, infatti, convinse Che Guevara ad

andare con lui nuovamente a Cuba per sovvertire il governo militare di Fulgencio

Batista.

Tra il dicembre 1956 e il dicembre 1959, il Che guidò buona parte dei gruppi

rivoluzionari cubani. Che Guevara sbarcò, assieme a Fidel e Raul Castro e altri 79

guerriglieri, il 2 dicembre 1956 sulle coste sud-orientali di Cuba.

La guerriglia rivoluzionaria partì dalle montagne, dalla Sierra Maestra, e continuò anche

nelle cittadine dell’entroterra. Le imprese di Che Guevara terminarono dopo due anni di

missioni suicide, quando il 24 dicembre 1958, a Santa Clara, l’ultima guarnigione

dell’esercito di Batista si arrese.

Compiuta la rivoluzione, Fidel divenne presidente di Cuba, mentre il Che divenne

dirigente dell'Istituto Nazionale per la Riforma Agraria e poi Presidente della Banca

Nazionale di Cuba. Ma la poltrona al Che stava stretta.

Nel 1965, il Che andò in Congo, assieme ad altri guerriglieri cubani, per supportare il

movimento marxista dei Simba, che si stava rivoltando contro il Belgio, Stato

colonizzatore.

L'anno seguente, invece, Che Guevara si recò, per la sua ultima missione, in Bolivia,

dove alla testa di cinquanta rivoluzionari (cubani, peruviani e boliviani) provò a

condurre una rivoluzione marxista contro il dittatore René Barrientos.

Il suo esercito (ELN – Ejército Nacional de Liberación de Bolivia), nonostante qualche

vittoria contro quello del generale Barrientos, non fu appoggiato dal Partito Comunista

Boliviano. Il Che rimase isolato anche dai contadini e dal proletariato, che erano troppo

diffidenti, e soprattutto rimase schiacciato dall'esercito boliviano, addestrato e

finanziato dalla CIA.

E sarà proprio la CIA a interrogare per l'intera notte dell'8 ottobre 1967 Che Guevara,

catturato vivo poche ore prima. Difatti, i guerriglieri rivoluzionari, rimasti in pochi e

bloccati vicino al villaggio di La Higuera, furono coinvolti in un grande scontro a fuoco,

in cui il Che rimase ferito a una gamba.Il 9 ottobre, il Che venne ucciso a colpi di arma da fuoco, sotto l'ordine diretto del

generale Barrientos, senza processo.

Di lì a poco, Che Guevara divenne un'icona, un idolo, una bandiera senza tempo, un

eroe apprezzatissimo, ma non solo dalla sinistra marxista e radicale.

Ciò che si ignora, forse volutamente, è che il Che fu un’icona trasversale all’epoca,

soprattutto in Italia, nazione in cui la sua figura influenzò moltissimo anche la destra

giovanile.

Questo avvicinamento tra il Che e la destra radicale italiana iniziò nel 1967, anno in cui

Adriano Bolzoni (che aderì alla RSI e, a guerra finita, scrisse sul Borghese e sul Secolo

d’Italia) scrisse El Che Guevara – Vita e morte del vagabondo della Rivoluzione,

romanzo biografico di Che Guevara, da cui fu poi ricavata la sceneggiatura di un film

l’anno dopo.

Bolzoni celebrò il Che come guerriero e rivoluzionario, non per le sue idee marxiste.

Così, parlando a un pubblico polarizzato a destra, Bolzoni riuscì a far sì che la figura del

Che si radicasse anche nei vessilli dei ragazzi di destra.

Nei terribili anni '70, la figura di Che Guevara si radicalizzò nel Pantheon politico del

Fronte della Gioventù. I giovani missini, che si definivano nazional-rivoluzionari, erano

in contrasto con il MSI, partito che stava, a mano a mano, iniziando a sposare ideali

conservatori. Dunque, i ragazzi del Fronte necessitavano di nuovi eroi da annoverare e

in cui trovare esempio e ispirazione. In quegli anni, il Fronte aprì una rivista culturale,

Fare Fronte, che molto spesso celebrò Che Guevara. Ovviamente, il Che fu spogliato

del suo estro marxista e internazionalista dai ragazzi del Fronte. Per loro, il Che divenne

un esempio di coraggio, tenacia, sacrificio e di lotta alla pigrizia borghese,

all’imperialismo e al capitalismo.

Che Guevara continuò a influenzare i ragazzi del Fronte, i giovani militanti di destra,

anche per tutti gli anni ‘80 e ‘90. Nell’ultimo ventennio, la figura del Che è

progressivamente scomparsa dal nostro orizzonte culturale, fino a essere apertamente

disprezzata da un ambiente che un tempo la guardava con rispetto e fascinazione.

Eppure, oggi, più che mai, noi giovani militanti abbiamo il dovere di riscoprirla. Di

tornare a rifiutare l’ordine imposto, l’ingiustizia mascherata da normalità, il

conformismo spacciato per buon senso. Dobbiamo riscoprire la bellezza della

ribellione, dell’essere profondamente antiborghesi, del pensare controvento.

È tempo di riportare nel nostro Pantheon chi incarna l’energia, la tenacia e il fuoco della

rivoluzione.


Perché, come ricordava Codreanu, “le rivoluzioni sono una prerogativa

della gioventù”.

E allora chi può davvero impedirci di celebrare un rivoluzionario?

 
 
 

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