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Evita è vita!

Immagine del redattore: RedazioneRedazione

Di Alessio Moroni


Nel cuore dell’Argentina, tra i canti di un popolo che lotta e spera, il nome di Evita Perón risuona ancora. Non fu solo la moglie di Juan Domingo Perón. Non fu solo una figura politica. Fu la voce degli ultimi, il simbolo della giustizia sociale, la donna che trasformò la compassione in azione.

 

Evita non nacque ricca. Figlia illegittima, cresciuta nella povertà, conobbe fin da bambina cosa significasse sentirsi esclusa, umiliata, invisibile. Quando arrivò a Buenos Aires con il sogno di diventare attrice, portava con sé il peso delle sue origini e una determinazione feroce: non sarebbe mai più stata ignorata.

 

Nel 1944, il destino la portò ad incontrare Juan Domingo Perón, un colonnello con un sogno di giustizia sociale. Si capirono subito: lui vedeva nel popolo una forza da liberare, lei voleva essere il ponte tra i potenti e i deboli. Si sposarono, e quando Perón divenne presidente nel 1946, Evita non si accontentò di essere una First Lady decorativa.

 

Evita scelse di stare al fianco degli umili. Entrò nelle loro case, toccò con mano la povertà, ascoltò il dolore della gente. Non parlava da un palazzo, parlava nelle strade, negli ospedali, nei quartieri dimenticati. Il popolo la chiamava “Santa Evita” perché sembrava una figura divina: non solo distribuiva aiuti, ma dava speranza, dignità, fiducia.

 

Attraverso la Fondazione Eva Perón, realizzò ciò che la politica aveva sempre ignorato: scuole, ospedali, case per chi non aveva un tetto, cure mediche per chi non poteva permettersele. I bambini senza famiglia trovarono rifugio, le donne abbandonate trovarono sostegno. Quando qualcuno bussava alla porta della Fondazione, Evita lo accoglieva senza chiedere nulla in cambio.

 

Ma non si fermò alla beneficenza. Evita voleva cambiare le regole. Si batté per i diritti delle donne, contribuendo in modo decisivo all’approvazione del suffragio femminile nel 1947. Per la prima volta, le donne argentine ebbero il diritto di voto. Ma non bastava: Evita voleva che le donne fossero protagoniste della politica. Creò il Partito Peronista Femminile, spinse le lavoratrici a organizzarsi, a pretendere rispetto.

 

Evita parlava con passione, senza paura, senza sottomettersi ai potenti. Per questo l’amavano, per questo la odiavano. L’aristocrazia argentina non le perdonò mai il suo successo. Troppo popolare, troppo determinata, troppo diversa dalle donne di potere dell’epoca. Ma lei non si piegò mai.

 

Nel 1951, il popolo la voleva vicepresidente. Milioni di persone scesero in piazza gridando il suo nome. Evita si commosse, si affacciò dal balcone della Casa Rosada e parlò alla folla. Ringraziò, pianse, ma rifiutò l’incarico. Sapeva di essere malata. Il cancro la stava consumando.

 

Un’addio che spezzò il cuore di un popolo

Nei suoi ultimi mesi, Evita non si arrese alla malattia. Continuò a lavorare, a incontrare il popolo, anche quando il dolore la piegava. Il 26 luglio 1952, a soli 33 anni, Evita Perón morì. L’Argentina intera si fermò. Il suo funerale fu un rito di dolore collettivo, milioni di persone in lacrime riempirono le strade.

 

La sua morte lasciò un vuoto immenso. Ma il suo nome non fu mai dimenticato. Oggi, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, ricordiamo Evita Perón non solo come una First Lady, ma come una rivoluzionaria. Una donna che sfidò il potere, camminò tra gli ultimi e cambiò la storia.

 

Evita non fu una regina, non fu una santa. Fu una donna che scelse il popolo. E per questo, il popolo non la dimenticherà mai.

 
 
 

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