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Macron: un incubo, due fiamme

Terremoto nella politica francese alla chiusura degli scrutini delle elezioni europee, domenica dieci giugno: il Rassemblement National di Marine Le Pen, oggi guidato dal ventottenne Jordan Bardella, ha infatti raccolto ben più del doppio dei consensi che ha raccolto En Marche, il partito personale di Emmanuel Macron, il quale s’è visto non per nulla costretto ad annunciare la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale, rispedendo il Paese a elezioni tra appena un paio di settimane.

 

E così, mentre il main stream transalpino, che non è poi differente da quello nostrano, riscalda le ugole per cantar l’allarme nero, e mettere in guardia i Francesi dal baratro lepeniano, il 30 giugno e il 7 luglio i cugini d’Oltralpe torneranno a votare per i 577 deputati dell’Assemblea. Macron resta al suo posto, perché a essere messa in discussione stavolta è la ‘sola’ maggioranza parlamentare: resisterà la Sinistra, o si imporrà la Destra, che - perlomeno tra RN e Repubblicani - sembra aver trovato un accordo à l’italienne?

 

Catastrofismi della gauche caviar e pronostici a parte, c’è chi descrive la mossa di Macron un azzardo da giocatore di poker: lasciar governare la destra, sotto la cappa macroniana, per un paio d’anni, così da sgonfiarne il fenomeno giusto in tempo per le prossime presidenziali. Tuttavia la cohabitation, ossia la coesistenza di un presidente e di una maggioranza parlamentare rispondenti a due schieramenti politici diversi, è un’extrema ratio, uno scenario che imbriglia la Politica, indebolendone l’incisività, e non è quindi una carta da giocare per vezzi di questo tipo. Non è la Destra al governo, del resto, a preoccupare più di tanto Macron, quanto il rischio di incidere poco o nulla nelle imminenti trattative europee, dalle quali usciranno i nuovi dirigenti dell’Unione, e dai quali è verosimile che il Presidente voglia garantirsi un credito da giocarsi a fine mandato, per assicurarsi una posizione quando dovrà sloggiare dall’Eliseo.

 

Macron alle Europee ha accusato il colpo, e ora ha un disperato bisogno di provare a cancellare la débâcle con un risultato elettorale più soddisfacente: diversamente, infatti, gli sarebbe assai difficile imporsi al tavolo più importante, quello con Germania e Italia, a cui troverebbe non solo e non tanto lo sventurato compagno Scholz, anche lui ancora tremante dalla doccia gelata del sorpasso di CDU e AfD, quanto Giorgia Meloni, indenne dalle pagliacciate dei due al G7, e forte del risultato di Fratelli d’Italia e delle oltre due milioni di preferenze raccolte alle ultime Europee.

 

L’occasione, per noi, è d’oro: la debolezza della Germania, e un’altra disfatta del presidente francese, lascerebbero all’Italia un ampio spazio per imporsi; la cohabitation in Francia, e quindi un governo spostato a destra, rappresenterebbe poi un’ulteriore accelerazione per la svolta che serve in Europa. Sarà stato il rischio di veder l’Italia queenmaker della partita a far strillare “jamais!” a Macron, così convinto che l’UE “c’est lui”, e i cui incubi è evidente abbiano ormai la forma di due fiamme.




 

 

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