Di Alessandra Minonne
Mentre dagli Stati Uniti Trump ribadisce l’ostinato bisogno di “perforare” con la sua iconica frase “We’ll drill, baby, drill”, in Italia si riaccende un dibattito che da decenni divide l'opinione pubblica: il nucleare.
L’Italia torna a parlare di nucleare, e lo fa in un contesto già abbastanza teso.
Tra le sfide più urgenti da affrontare risultano preminentiquelle delle politiche green e degli obiettivi, sempre più stringenti, della neutralità climatica.
Inoltre, tra i Paesi dell'Unione Europea, il nostro è tra quelli con la più alta dipendenza dalle importazioni di energia: circa l'80% del fabbisogno nazionale viene soddisfatto dall'estero. Sebbene l'utilizzo delle rinnovabili sia in crescita, gli studi dimostrano che, nel lungo periodo, queste fonti non basteranno a garantire l'autosufficienza energetica.
È qui che entra in gioco l’energia nucleare.
L’energia nucleare non è, ancora, un tema sdoganato del tutto e questo complica la visione nitida della questione.
IERI
Ma facciamo un passo indietro.
Il nucleare è particolarmente legato alla storia del nostro Paese, in cui trova il suo esordio grazie ad Enrico Mattei nel secondo dopoguerra. Successivamente il nucleare viene messo da parte per poi entrare ufficialmente in gioco negli anni ‘60 con la costruzione delle centrali nucleari di Latina, Garigliano e Trino Vercellese.
L’Italia diventa leader mondiale del settore, offrendo una grande lezione di competitività. Insomma, un ricordo ormai lontano!
Le radici legate al dibattito sull’uso dell’energia nucleare risalgono all‘86, anno del disastro di Chernobyl, e alle conseguenze che portarono il PSI ad indire, nel 1987, un referendum abrogativo ma non per il divieto all’utilizzo del nucleare.
Infatti, il referendum prevedeva 3 quesiti sul nucleare che riguardavano principalmente l’abrogazione di oneri compensativi rispetto alle sedi scelte e il divieto dell’ENEL ad operare sul territorio estero.
Il clima in cui il referendum fu indetto lascia ancora oggi troppi punti in sospeso.
Ne svilupperemo uno: il modo in cui fu proposto!
Per farlo si sfruttarono due aspetti: l’incomprensibilità dei quesiti posti, troppo difficili per essere pienamente afferrati dall’elettore e la fragilità psicologica, influenzata dall’allora recente vicenda di Chernobyl.
Il ruolo della disinformazione ha giocato a vantaggio del risultato.
L'insieme di questi aspetti, uniti all’incapacità del governo dei tempi portò alla vittoria del SÌ con una percentuale pari all’80%. Il risultato condusse all’abbandono del nucleare nel Paese.
Nel 2011, si torna a discutere di nucleare. E si ripropone una vicenda pressoché simile. Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi; la proposta di ritornare al nucleare; un decreto legge e l’indizione di un Referendum.
Referendum che fu preceduto dal disastro di Fukushima e che portò nuovamente ad una sconfitta. Vinse il SÌ con una percentuale pari al 94%.
Da questi eventi emblematici si può tracciare una linea difensiva nei confronti del nucleare facilmente percepibile dal movente che portò al risultato in entrambi i casi.
Anzitutto la scelta sbagliata dei momenti storici in cui si è deciso di sottoporre il tema alla popolazione. E poi la divulgazione mediatica e manipolatoria del disastro di Chernobyl, che comportò un timore diffuso non basato su evidenze scientifiche.
Quella che può sembrare una strategia politica dei tempi ha portato ad instillare, nella mente di una grande fetta generazionale, un’idea controversa che si ripercuote ancora oggi.
Peraltro, le conseguenze di quella campagna elettorale fondata sul terrorismo psicologico non furono soltanto emozionali.
L'eliminazione del nucleare in Italia e il conseguente smantellamento delle sue centrali ci è costato miliardi ed un’operazione non ancora terminata. Il termine dei lavori, previsto nel 2052, avrà un costo totale complessivo di ben 11,38 miliardi.
Una parte di questi costi ci sono stati addossati in bolletta fino al 2023. Parliamo di un arco temporale che va dal 1987 al 2023. Anni in cui le nostre bollette hanno accumulato miliardi per aiutare la dismissione di una scelta che non fu fatta consapevolmente e su cui, a pagarne il prezzo, sono le generazioni che di quella sensibilità psicologica non ne percepiscono l’origine.
OGGI
La notizia più calda è del 28 Febbraio definita “giornata storica per l’Italia”. Viene infatti presentato e approvato dal Cdm un disegno di legge sul nucleare, che incarica il governo ad adottare, nell’arco di 12 mesi, i decreti legislativi utili a definire un quadro normativo adeguato.
Oggi, l’opinione pubblica sta cambiando: ben due terzi degli under 30 si dichiarano favorevoli all’energia nucleare, segnale di una nuova consapevolezza.
A sostegno del tema è utile individuare quanto l’energia nucleare giochi un ruolo fondamentale che si identifica in un’ottima calibrazione del mix energetico di cui necessitiamo, nel suo bassissimo impatto di emissione di CO2 e nella necessaria indipendenza energetica dagli altri Paesi. Inoltre, il nucleare non è più quello degli anni '80: le nuove tecnologie garantiscono una maggiore sicurezza e un minor impatto ambientale.
DOMANI
L’Italia ha tutte le carte in regola per affrontare la sfida, a patto che si adotti una normativa attenta non solo alla produzione elettronucleare, ma anche alla gestione della fase più delicata: il deposito delle scorie. La tutela ambientale deve rimanere una priorità assoluta, insieme a una necessaria cooperazione tra le parti, vero nodo cruciale della questione.
Alla luce di tutto ciò, ci chiediamo come mai il nucleare debba essere una scelta periferica, una risorsa importante che viene presa in considerazione solo quando i prezzi dell’energia salgono e le vicende geopolitiche appaiono particolarmente instabili.
L'Italia può davvero permettersi di ignorare questa opportunità?
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