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Un sogno chiamato Italia

di TUTTI

ma scritto da Matteo Malacrida


Come si fa a racchiudere in un articolo l’emozione? Come si riassumono con le parole i chilometri percorsi nel deserto e l’arrampicata sino alla vetta? Come si descrivono i sorrisi, gli abbracci, le lacrime?


21 dicembre 2012. Un manipolo di pazzi, guidato da Giorgia Meloni, rifiuta il compromesso per ricostruire la casa della destra italiana. Il nome scelto è altisonante, forse un po’ retorico. Il simbolo, almeno per i primi anni, resta anonimo. Ma dietro a Fratelli d’Italia ci sono gli uomini e le donne di sempre. Gli anni di Azione Giovani, i manifesti, la colla, i volantinaggi, le botte coi compagni, le sedie che volano a Viterbo e lo sconfinato amore per la Nazione. Davanti, invece, c’è Lei. Non ha paura di niente e nessuno, Giorgia. Lascia lo scranno da Ministro e una ricandidatura sicura per fondare un Partito che tutti danno per spacciato. Attraversa la palude del 2%, ci rimane per anni ma continua a crederci. Anche quando le nostre parole di sempre diventano il ritornello dei Salvini e dei “duriepuri”. Rifiuta le lusinghe del primo Conte, costruisce la nuova destra in Europa, rifiuta anche le sirene di Mario Draghi. E anche in quel momento, tutti la danno per spacciata, la vedono già condannata all’irrilevanza.


Ma per chi è abituato da sempre ai faccia a faccia diretti col potere (quello degli antagonisti nelle scuole e quello forse ancor più marcio nei salotti e nei palazzi), l’irrilevanza non è un destino. La campagna elettorale più esaltante di sempre. Il traguardo che nessuno – tranne Lei – aveva osato immaginare. A testa alta. Allargando il perimetro, ma senza rinunciare alla nostra storia.


Oggi dal cielo ci guardano tutti, e sorridono. Giorgio per primo, e poi i “suoi” ragazzi. Carlo, Stefano, Virgilio, Mario, Mikis, Sergio, Nanni, Paolo, Francesco e tutti gli altri. “Oh, ragazzi: abbiamo vinto!” “Vinto?” “Vinto.”


E mentre i “democratici” piangono lacrime amare, l’Italia per bene brinda al domani.


“C’è stato un sogno, una volta, che era Roma. Si poteva soltanto sussurrarlo. Ogni cosa più forte di un sospiro l’avrebbe fatto svanire. Era così fragile”. Oggi, c’è un sogno chiamato Italia e siamo pronti a costruirlo. Con chi c’è da sempre, con chi ci ha raggiunto e con chi ci raggiungerà. Per chi c’era, per chi ci ha abbandonato e per chi ci abbandonerà. Per i nostri padri, per i nostri figli. Per noi stessi. Per gli insulti presi, le lacrime versate, la fatica spesa, i chilometri macinati, le notti in bianco, le sveglie all’alba. I concerti, le feste, le riunioni interminabili. I volantinaggi, i banchetti, le raccolte benefiche. La vergogna nel dover nascondere i nostri simboli da occhi indiscreti.


A testa alta. C’è un sogno chiamato Italia da costruire. Abbiamo vinto la prima battaglia. Adesso, inizia la guerra.


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