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Maternità, un valore (in)superato


Il Comune di Milano - che come sappiamo, purtroppo, è diventato la sede della cultura woke italiana - fa di nuovo parlare tristemente di sé.

Nell’occhio del ciclone stavolta è finita una statua raffigurante una donna intenta nell’atto dell’allattamento della sua creatura. Un’opera realizzata da Vera Omodeo, artista milanese venuta a mancare lo scorso anno. A detta della figlia “una donna risolta ed interiormente femminista”. Il tema della maternità è stato centrale nella vita dell’artista milanese perché ha rappresentato per lei un simbolo di rinascita personale: i medici infatti le dissero da giovane che lei non avrebbe potuto avere figli. Ne ebbe sei.

Un brevissimo cenno biografico che è solo una delle infinite critiche che possiamo muovere a Palazzo Marino: esporre la statua avrebbe reso omaggio ad una donna che ha portato lustro alla città di Milano.


Andando oltre però il “mero” riconoscimento verso una cittadina illustre, soffermiamoci sulla motivazione data al rifiuto di esporre l’opera: “Non sono valori condivisi da tutti”. È qualcosa di rivoluzionario in effetti: il Comune di Milano, dopo 30mila anni di arte e archeologia afferma che la maternità non è più il valore cardine di questa civiltà.


La nostra civiltà, quella Occidentale, frutto dell’incontro delle due culture che hanno - realmente - rivoluzionato il mondo, quella classica e quella cristiana, fonda intrinsecamente se stessa sul valore della maternità. L’eterna Roma deve la sua origine ad un atto di maternità della Lupa, che con affetto materno si è presa cura di chi non le apparteneva affatto; la cultura cristiana parte dall’atto di maternità per antonomasia, quello della Vergine Maria che ha portato in grembo quello che per il mondo cristiano è il figlio di Dio. Ma questo è solo quanto di più vicino e più noto della nostra cultura. Noi non saremmo quelli che siamo se non fossero esistiti prima dei nostri “nonni romani e cristiani” le prime civiltà fluviali, dove la maternità era il valore cardine. Testimonianze scritte e pittoriche di riti propiziatori, statue inneggianti alla fertilità materna sono la prova che in ogni epoca, da quando l’umanità è diventata “società”, la madre ha un ruolo sociale inestimabile. Ma anche festeggiare il ritorno della primavera, la fioritura degli alberi e le prime aiuole colorate è il “retaggio” che gli avi - pagani, in questo caso - ci hanno lasciato riguardo la maternità: la rinascita del mondo, la fertilità dei campi, era motivo per augurarsi anche la fertilità materna.


Immagino poi che i consiglieri comunali di Milano, la seconda domenica di maggio, non si sognano nemmeno di portare una rosa alla propria madre: è un valore superato!

Per noi non rappresenta affatto un valore superato. Continuiamo a vederlo come un perno della nostra società sia per l’importanza che ha avuto nei secoli che ci precedono ma ancor di più per l’importanza intramontabile che ha oggi e avrà in futuro.


La donna che decide di diventare madre sceglie di portare sulle sue spalle la responsabilità di dare un futuro al Paese in cui vive - noi Italiani, con la peggiore crisi demografica di sempre, lo sappiamo bene. La donna che decide di diventare madre deve tornare ad avere quel ruolo sociale che ha sempre avuto nel corso della storia: nel suo piccolo, è un’eroina. In quei 9 mesi assume una sacralità maggiore: dalla sua vita ne dipende direttamente un’altra. Dalla sua vita dipende una parte del futuro.


So bene che queste riflessioni saranno indigeste ai fautori della cultura woke, perché a detta loro questa visione vuole relegare la donna ad un “marginale” e, perché no, obsoleto ruolo di madre. Mi spiace deludere le aspettative, ma non è affatto così. Anzi, le follie turbo-femministe hanno ottenuto l’effetto contrario: relegando a ruolo marginale il valore della maternità, hanno tagliato fuori dal proprio perimetro tutte quelle donne che decidono consapevolmente di voler essere madri. Fomentare solo il lato della carriera lavorativa ha come conseguenza che sì, oggi una donna può ricoprire una posizione manageriale tanto quanto un uomo, ma se dovesse rimanere incinta? Aver fatto perdere valore e centralità alla maternità non è forse una delle cause del ritardo legislativo e culturale sulla tutela della donna-madre-lavoratrice?


Bisogna lavorare costantemente per permettere a chiunque di avere aperta ogni possibilità, ma così come la maternità non deve escludere la carriera, vale anche esattamente il contrario. Il nostro impegno quotidiano infatti è quello di costruire un’Italia in cui si possa essere genitore e lavoratore allo stesso tempo, dove questi due aspetti della vita non siano in contrasto ma diventino complementari.


Permettetemi un ultima riflessione per sottolineare l’ipocrisia di questa sinistra: bisogna opporsi ad una statua rappresentante la maternità perché potrebbe evocare un concetto patriarcale, ma allo stesso tempo bisogna chiudere le scuole per rispetto verso l’Islam, il più vasto ed oppressivo sistema patriarcale che l’umanità abbia mai sperimentato.




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