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128 anni di Jünger: riscoprire l’anarca per affrontare la modernità

di Andrea Piccinno



Ci sono pensatori, grandi pensatori, che per lungo tempo furono osteggiati non solo dalla sinistra, ma anche da buona parte della destra italiana.

Uno di questi avrebbe compiuto oggi il suo centoventottesimo compleanno e

siamo sicuri che ci sarebbe arrivato più che in forma, tenuto conto della dipartita ultracentenaria e dei discorsi illuminanti ancor fatti alla veneranda età di 102 anni con Antonio Gnoli e Franco Volpi.


Se la sinistra italiana continuerà ancora per alcuni anni a negare la grandezza del pensiero di Ernst Jünger, vedasi l’invito da parte di Massimo Cacciari a Venezia nel 1995 e relative polemiche da parte della sua stessa

maggioranza, anche a destra si è dovuto attendere il Congresso di Fiuggi del 1995 per vederlo finalmente sdoganato e posto nel pantheon degli intellettuali di riferimento.


Fu nientemeno che Marcello Veneziani, dal

palco ciociaro da cui nacque Alleanza Nazionale, a proporlo per la prima volta a una platea così ampia svestendolo dall’erroneo mantello del nazismo sotto cui era stato nascosto da chi, evidentemente, non lo

comprendeva o non ne voleva la diffusione. Se i diritti per alcune delle sue operi principali in italiano erano già stati acquisiti nella metà degli anni ’80, infatti, solo decenni dopo le traduzioni hanno finalmente avuto nuova luce in Italia.


Veneziani lo definì come il filosofo politico della conciliazione degli opposti: è stato, infatti, allo stesso tempo un grande conservatore e un anarchico radicale, in grado di far convivere in sé lo spirito libertario e l’amore per l'ordine e per la gerarchia.

Cercò di far convivere il nazionalismo e il socialismo, ma quando questo s’è

fatto concreto sotto forma di nazismo, se n’è subito allontanato. Non ne amò gli aspetti volgari e torbidi, giungendo a odiare la stessa figura di Hitler aderendo alla congiura anti-hitleriana e salvato dalla punizione del

Reich solo grazie al suo prestigio come scrittore ed eroe di guerra.


La figura principale del suo pensiero è venuta fuori nel 1977 quando, ad 82 anni appena compiuti, diede alle stampe Eumeswil, un romanzo apocalittico pubblicato in Italia nel 1981. Eumeswil è il nome della città in cui

è ambientato il racconto, senza spazio né tempo e quindi dovunque e sempre, ed è comandata da un tiranno che si fa chiamare Condor.

Il protagonista è Martin Venator, storico di giorno e barista di notte, ma anarca

ventiquattr’ore al dì.

È proprio questa la più meravigliose delle creature jüngeriane, l’anarca, un uomo in grado

di vivere rifiutando qualsiasi potere e sottostando solo alle leggi della natura, stoico ai suoi tempi e assolutamente libero.

Si tratta di un’evoluzione del waldgänger, ossia colui che passa al bosco di cui si è

parlato nel Trattato del Ribelle, opera dello stesso Jünger pubblicata poco meno di trent’anni prima.

Lo stesso Martin Venator, di fatto, passa letteralmente al bosco: inizia infatti a costruire un rifugio segreto nei pressi della foresta che circonda la città, pur non utilizzandolo mai, e tramite il maestro Vigo, probabilmente

ispirato al filosofo napoletano Giambattista Vico, esplicita come in realtà la foresta si tratti solo di un passaggio.

Alla base dell’intera storia vi è l’anarchia, vera fiamma del mondo e da tutti ricercata, e da cui ovviamente l’anarca parte per il suo ragionamento e la sua evoluzione, ma non ci si ferma.

Sarebbe altrimenti non anarca, ma anarchico e l’anarchico non è altro che colui che si lascia ossessionare dal potere, che passa la sua intera

esistenza nell’idea e nel terrore della lotta, non divenendo mai davvero libero.

L’anarca, al contrario, più radicalmente, è colui che è libero dagli uomini di potere, non solo nelle sue relazioni esterne, ma intimamente,

nella libertà di spirito, rendendosi autenticamente libero, perché, novello stoico, vive l’anarchia in maniera integrale e profonda: la sua libertà lo rende impassibile dinanzi ai soprusi del mondo esterno.


Le filosofie jüngeriane si rivolgono a un mondo dominato dalla tecnica che, di sicuro, mostra varie analogie con il nostro tempo, ma che porta come risvolto dell’eccesso di tecnica anche la rinascita e la spiritualizzazione

del mondo, come unica luce possibile in fondo al tunnel del nichilismo che ci opprime.


E, oggi come nell’Eumeswil, non vi è altro modo per giungerci se non tramite la ricerca, se non tramite l’anarca.


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