Di Piergiorgio Laguardia
In questo 9 maggio, in cui ricorre la festa dell’Europa, è lecito interrogarsi sul suo futuro e sulla sua declinazione imperfetta, l’Ue.
L’Europa in sè è un sistema di storia, civiltà, valori che dovrebbe avere una straordinaria importanza se avesse una sua autonomia strategica, mentre l’Ue è una declinazione burocratico-finanziaria spesso non rispondente alle esigenze delle comunità.
Mentre la CEE ha per alcuni anni costruito un modello di Europa vincente, con una sua autonomia strategica, con un margine di manovra nelle politiche fiscali e commerciali -tramite l’imposizione di tariffe sui dazi doganali- l’Ue ha il suo peccato capitale ed originali alle radici, in quello sciagurato trattato di Maastricht.
Nelle clausole sulla cessione in toto della sovranità, nell’ok alle delocalizzazioni selvagge, nascoste abilmente nella libera circolazione di lavoratori e merci, e ad una adesione fideistica a parametri di bilancio privi di fondamento scientifico e che non tengono conto di investimenti in innovazione, ricerca, sviluppo ecc..
Purtroppo oggi però uscire dalla moneta unica e dalla Ue in assenza di un progetto preciso legato alla giustizia sociale sarebbe solo dannoso, sia perché l’economia andrebbe in tilt senza una piattaforma di pagamenti come il Target 2, sia perché senza fondi europei molte nostre aree interne starebbero messe molto peggio di quanto non lo siano giá.
Perciò oggi è prioritario difendere gli interessi nazionali in Ue, come spesso ribadito dalla premier Giorgia Meloni: se rinegoziassimo i due punti fondamentali di Maastricht, se iniziassimo a dotarci di una politica bancaria e fiscale comunitaria, ad introdurre limitazioni per chi fa concorrenza sleale all’interno dell’area comunitaria e, soprattutto, iniziare a riconoscere che il dumping fiscale e salariale è antitetico a principi democratici di cui l’Ue vuole farsi cardine, saremmo ad un ottimo punto; su quest’ultimo è sempre mancata una coesione europea mirante al bene comune.
Sul tema della giustizia invece andrebbe seguita maggiormente l’Ue, che da anni ci chiede di ridurre di 1\3 i tempi dei procedimenti civili e penali che spesso scoraggiano ad investire capitali nel nostro paese ed a contribuire alla sua stagnazione secolare.
Ma oggi il discorso sull’Europa assume importanza fondamentale soprattutto per 2 snodi basilari: Pnrr e Price Cap.
Sul primo va detto che per metterlo a terra manca il personale formato adeguatamente, perciò l’Ue avrebbe potuto concederci maggiori risorse subito per assunzioni di pianta organica, ma dall’altro va apprezzato l’abile gioco diplomatico del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dal Ministro Raffaele Fitto e dal Sen. Giulio Terzi Di Sant’Agata per ottenere una dilatazione delle scadenze di opere e progetti che altrimenti non sarebbero possibili da eseguire.
Sul price cap invece va colto un segnale importante, al di lá dell’accordo faticosamente raggiunto grazie anche all’intervento del Premier ceco Petr Fiala, e cioè che Spagna e Portogallo, che hanno adottato un buon price cap nazionale da €200, remavano nella nostra stessa direzione e che le alleanze da andare a perseguire prioritariamente sono quelle di una Europa Mediterranea, il vero cuore dell’Europa.
Speriamo il 9 maggio del 2025 di poter festeggiare con una Ue a trazione Ecr-Ppe che costruisca una nuova Europa solidale, cristiana, liberale, popolare ed identitaria.
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