C'è un tema ricorrente nella società attuale che da decenni ammorba il panorama nazionale con un dibattito perlopiù sterile: il rapporto tra i giovani e la politica, descritto come sempre più sbiadito e quasi inesorabilmente perduto.
In tanti, tra i politici, hanno provato a far propria l'ambizione di ricostruire questo rapporto, un tentativo che però appare spesso come una semplice trovata elettorale, soprattutto alla luce delle statistiche, che riportano numeri irrisori se si considera la presenza dei giovani nelle alte cariche dei partiti o nelle liste elettorali. Secondo un’analisi di Openpolis, infatti, su 5 mila candidati alle scorse elezioni nazionali solo il 15% aveva meno di 40 anni. Il 3% meno di 30.
Insomma, tutti parlano di giovani, ma in pochi danno davvero loro spazio.
La classe politica disattende puntualmente i suoi millantati propositi nei confronti dei neo cittadini attivi, a partire dal tessuto giuridico-formale, in cui i più giovani sono invisibili.
Un esempio: il comma terzo dell'articolo 56 della Costituzione stabilisce l'attuale limite d'età di 25 anni per l'accesso alla carica di deputato. Un criterio di selezione sancito nel lontano 1945 dai Padri Costituenti, quando ancora la maggiore età era fissata a 21 anni. Vincolo ormai anacronistico, che riflette una realtà scolpita nell'immobilismo, in cui le voci che reclamano una riforma per adattare le istituzioni ai mutamenti temporali si fanno rarefacenti, se non del tutto assenti.
Questa riflessione mira ad aprire un dibattito sul fondamentale tema del coinvolgimento giovanile in politica, nello specifico, sul ridurre l'età minima per l'eleggibilità alla Camera a 18 anni, un'ipotesi che potrebbe rivelarsi un punto di svolta per la democrazia nazionale.
Nella Atene del quinto secolo avanti Cristo, con affermazione della democrazia, tutti i maschi a partire dai diciotto anni avevano accesso a uno scranno nell'assemblea popolare, detta Ecclesía. Un meccanismo che, seppur distante dal nostro sistema rappresentativo, fornisce una testimonianza sul ruolo decisivo dei giovani in politica fin dall'antichità.
La norma vigente apre principalmente a due obiezioni: una di forma e una di sostanza.
Innanzitutto il criterio attualmente impiegato è intrinsecamente dogmatico.
Infatti la proposta tratterebbe semplicemente di equiparare l'età dell'elettorato attivo a quella dell'elettorato passivo. Non vi è un valido motivo, nel caso della Camera, per cui non debba esserci una tale biunivocità, soprattutto se si tiene conto dei contesti locali, in cui non è presente alcun limite di questo tipo.
Ma il vero dato allarmante è quello sostanziale.
Infatti le limitazioni nei confronti dei nuovi adulti celano una radicata mancanza di fiducia verso la gioventù. Così una parte della società viene considerata non idonea all'esercizio delle funzioni politiche. Il risultato è una rappresentanza difforme, che marginalizza gli argomenti a cui i giovani sono più sensibili. Ad esempio, parlano di borse di studio e di università esponenti politici che hanno finito di studiare da decenni.
Pertanto, per poter dare un segnale tangibile di rivitalizzazione della società, i giovani devono poter partecipare attivamente alle decisioni di rilevanza pubblica. Perché sia possibile, sono loro stessi a doversi fare portatori di riforme.
C’è bisogno di uscire dalla dimensione dei partiti e far capire che dal basso si possono trasformare le cose. E porsi come fine precipuo l'abbattimento di una gerontocrazia che attualmente pervade l'Italia.
Viviamo in un Sistema-Paese stagnante, che da un lato lamenta la scarsa autonomia dei giovani, tacciandoli di indolenza, dall'altro però, per pregiudizio, impedisce loro di essere protagonisti delle decisioni che plasmano il loro presente e il loro avvenire. Il nodo problematico affonda le sue radici già nella “pedagogia” nazionale, che non promuove l'intraprendenza, ma una retorica che relega i giovani in un tempo inesistente: il futuro. Specchio di una società paternalista, monopolizzata dalle generazioni più anziane, che spesso ignora o sottovaluta le nuove prospettive.
Risulta difficile per i giovani assumere un ruolo attivo in questo contesto.
Un'eventuale modifica della Carta costituzionale come suddetto potrebbe essere la chiave d'accesso all'abbattimento della cultura di inerzia che attanaglia l'Italia e per favorire un necessario cambio di guardia generazionale, che la nostra Nazione assai urgentemente richiede. E finalmente si porterebbe l'Italia in linea con le maggiori nazioni europee, in cui i parlamentari possono essere eletti già a 18 anni. Italia che, purtroppo, quando si tratta di riforme è sempre la più scettica e, come da sua nomea, tra le ultime a cedere, tra non poche fatiche e tormenti.
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