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A difesa della polis

Immagine del redattore: RedazioneRedazione

Di Pasqualino Santoro

 

Nell’Italia del marzo 2025, un’ombra cupa si stende sulla terra che un tempo insegnò al mondo la misura del diritto: le ronde di cittadini, nate come baluardi contro scippi e violenze microcriminali, non sono un errore da biasimare, ma il segno di un popolo che, sentendosi abbandonato, si fa custode della propria salvezza. Da Milano a Napoli, da Vicenza a Prato, si leva un’eco che non è caos, ma il richiamo a un ordine naturale, a quell’istinto che, come Hobbes intuiva nel Leviatano, spinge l’uomo a sfuggire alla guerra di tutti contro tutti quando il patto con il sovrano si spezza. E in questo crepuscolo, mentre le forze dell’ordine e il governo tentano di ristabilire la sicurezza, ogni loro azione è soffocata da grida di "abuso di potere", lasciando il campo a chi, esasperato, prende in mano il proprio destino. Le cronache recenti dipingono un’Italia ferita, ma non doma. A Milano, l’11 marzo, l’associazione "Articolo 52" ha fermato un giovane nordafricano alla Darsena, accusato di furto: un gesto crudo, diffuso in rete, che non merita condanna, ma rispetto come atto di chi, richiamando il diritto alla difesa, si oppone a un sistema che vacilla. A Brescia, il 5 marzo, il Carmine si è fatto arena di una rissa tra "maranza", con cestini per scudi e catene per armi. A Napoli, il 1° marzo, una sfida su TikTok prometteva un’invasione durante Napoli-Inter, dissolta ma bastante a serrare la città. A Vicenza, dopo 63 furti in casa nel 2024, i residenti sfidano i divieti prefettizi, pattugliando le vie come sentinelle d’un tempo. A Prato, la comunità cinese, stanca di rapine, medita l’autotutela. È un popolo che, di fronte al disordine, non si piega, ma si rialza con la forza di chi non ha altra via. Eppure, un’ingiuria più grave lacera la polis: le forze dell’ordine, che con dedizione si prodigano per garantire l’ordine, e il governo, che cerca di arginare il caos, sono tacciati di abuso ogni volta che agiscono. A Roma, il 9 marzo, un carabiniere ha fermato con fermezza un ladro seriale a Termini, proteggendo i passanti, ma è finito sotto indagine per "eccesso di forza". A Torino, il 7 marzo, un agente, reprimendo una rissa è stato denunciato per "abuso di potere", mentre i violenti tornavano liberi in un soffio. Non è un caso isolato: ogni intervento deciso, ogni tentativo di ristabilire la legge, è accolto da accuse che paralizzano chi serve. Il governo, pur rafforzando i controlli, come a Napoli con le misure prefettizie, si scontra con un clima che lo dipinge come oppressore. Platone lo direbbe con chiarezza: una città che punisce i suoi guardiani è già sulla strada della rovina.Siamo in un tempo di disgregazione, un’anomia che dissolve le norme e lascia i figli di periferie senza guida a incarnare il caos. Max Weber ci ricorderebbe che lo Stato vive del monopolio della forza legittima, ma quando questa è ostacolata da sospetti e denunce, il vuoto si colma altrove. I numeri gridano: furti con strappo a Milano su del 7%, rapine del 13% dal 2019 (Viminale 2023). La sinistra, dalla sua torre d’avorio, bolla le ronde di "giustizialismo" e difende i trasgressori, ma dimentica che la giustizia è il pilastro di ogni comunità. Quando essa manca, quando chi agisce per proteggerla è accusato di abuso, l’uomo torna alla sua natura più antica, pronto a difendere ciò che è suo, come "Articolo 52" dimostra con il suo gesto necessario. Noi non possiamo che sostenere questa rivolta silenziosa. Le forze dell’ordine ci provano, il governo ci prova, ma ogni loro sforzo è soffocato da un sistema che premia i colpevoli e punisce i giusti. Chi può biasimare il padre che pattuglia il quartiere, la madre che scruta l’ombra, quando l’opinione pubblica e a volte anche la magistratura, tacciano di abuso chi osa alzare la mano contro il disordine? Le ronde, da "Articolo 52" ai residenti di Vicenza, non sono la colpa, ma il sintomo: il crollo di un equilibrio che ha sacrificato la sicurezza per un’illusione di clemenza e buonismo, lasciando la microcriminalità spesso e volentieri di origine extracomunitaria, a sfidare le piazze e i cittadini a rispondere con ciò che resta loro. È una ribellione che nasce dal profondo, dal bisogno di non essere più prede in una terra che dovrebbero chiamare casa. Eppur, il dilemma resta, radicato nella natura umana. Le ronde, come un fuoco acceso nella notte, possono scaldare o bruciare, riportando quella guerra di tutti contro tutti che Hobbes temeva. La soluzione non è il caos, ma un’autorità rigenerata: più agenti, pene certe, un sistema che non accusi di abuso chi serve, ma lo sostenga. Aristotele lo intuiva: l’uomo è animale sociale, ma senza legge si fa scudo di sé stesso. La salvezza del popolo, legge suprema, non può attendere suppliche: richiede un’azione che ristabilisca il patto tra chi governa e chi è governato. "Articolo 52" e le altre ronde non sono un crimine, ma un richiamo: se non ci proteggete, lo faremo noi. E se le forze dell’ordine e il governo, pur nel loro impegno, restano prigioniere di un clima che li dipinge come tiranni, queste sentinelle saranno solo l’alba di un risveglio più vasto. L’Italia del 2025 vive un dramma che va oltre la cronaca: una polis ferita, dove i cittadini, traditi da un sistema che frena i loro guardiani e il loro governo, si fanno protagonisti di un destino che non accettano di subire. Non è solo una lotta contro i "maranza" o gli scippi: è una battaglia per l’anima di una comunità che rifiuta di arrendersi. Tra le ombre di un disordine crescente e le accuse che soffocano chi agisce, si forgia il futuro di una terra che conserva in sé la forza di resistere. È il popolo che parla, non con parole, ma con atti, ricordando a chi governa che la vera sovranità nasce da chi non si piega, nemmeno quando tutto sembra perduto.

 

 

 
 
 

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