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A Mario Zicchieri, figlio d’Italia

di Roberta Salerno


Aveva 16 anni, Mario.

Un’età in cui si dovrebbe pensare alle partite di calcio, ai libri di scuola, ai primi sogni da costruire.

Ma Mario aveva scelto di credere in qualcosa di più grande di sé.


Frequentava l’oratorio, andava a scuola, si era iscritto al Fronte della Gioventù.

Non era un estremista, non era un violento. Era semplicemente un ragazzo italiano che amava la sua terra e aveva deciso di impegnarsi per la sua gente, come tanti suoi coetanei.


Era il 29 ottobre del 1975, davanti alla sezione del MSI al Prenestino, Roma.

Mario stava ridendo con degli amici, quando l’odio è esploso. Tre uomini armati scesero da una Fiat 128 e iniziarono a sparare.


Mario cadde a terra. Aveva 16 anni.


Le Brigate Rosse rivendicarono l’agguato come un "atto dovuto". Doveva servire a “intimidire i giovani fascisti”.


La verità? Fu un’esecuzione. Un atto vile contro un ragazzo disarmato, la cui unica colpa era quella di amare la sua Nazione e portare avanti le sue idee con coraggio.


Cinquanta anni sono passati, nessuno ha mai pagato.

Nessuna giustizia. Nessuna verità.

Solo silenzio e oblio, che troppo spesso viene imposto a chi ha militato da quella parte della storia che ancora oggi non ha diritto al ricordo.


Ma noi non dimentichiamo.

Perché Mario è uno di noi.

Un ragazzo per bene. Un ragazzo del Fronte. Un figlio d’Italia.


Finché ci sarà qualcuno a ricordarlo, Mario Zicchieri vivrà.

Nei nostri ideali, nella nostra lotta, nelle nostre azioni.


A te, Cremino. Oggi come allora. Presente.

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