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Acca Larentia, non vogliamo dimenticare

di Salvatore Tuzio


Ciò che rende grande una Nazione è conoscere il proprio passato, eppure in Italia si tende a ricordare solo ciò che serve o ciò che fa comodo, chiudendo nel cassetto dell’oblio ciò che risulterebbe scomodo da ricordare.

Che in Italia tra gli inizi degli anni ’70 e la fine degli anni ’80 ci siano voragini di verità su fatti e atti compiuti nelle acque, per le vie e su nei cieli è fatto conclamato: Bologna, Ustica e piazza Fontana, giusto per citarne alcuni. Ma dei giovanissimi uccisi nei modi più disparati, in quegli stessi anni, come inutili pedoni sacrificabili di una scacchiera più grande, in pochi ne parlano e ancora di meno ne hanno memoria.

 

Succede così che “... una sera di Gennaio resta fissa nei pensieri, troppo sangue sparso sopra i marciapiedi”. Sangue di due ragazzi barbaramente trucidati fuori una sede del Movimento Sociale a colpi di revolver, calibro 9 e mitragliatrice skorpion, da un plotone di esecuzione che rispondeva alla sigla Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale. Esecuzione militare, con armi da guerra per mano di persone comuni, accecate dall’odio politico alimentato da un èlite intellettuale che vedeva nel “uccidere un fascista non è un reato” la filosofia politica che si fa azione di quegli anni.


Direttrici parallele e convergenti, a Destra come a Sinistra. La sera di quel 7 gennaio a Roma, nella piazza di Acca Laurentia, nel quartiere Appio-Latino, tra la Via Appia e la Via Tuscolana, in un territorio storicamente a sinistra e di estrazione popolare a rimanere sul selciato in una pozza di sangue saranno Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti. Il primo studente universitario poco più che ventenne, il secondo un ragazzo di 17 anni. Uscendo dalla sede del partito vengono raggiunti alle spalle dal commando che li fredda. Franco cade davanti all’uscio della sezione crivellato di colpi, quello fatale entrerà nella zona occipitale da dietro l’orecchio; poco più lontano, sulle scale che dalla piazza portano a via delle Cave, perderà la vita Francesco con un colpo mortale al cuore.


Gli altri tre ragazzi che stavano in loro compagnia uscendo per andare a volantinare per il concerto di un gruppo di musica alternativa, gli Amici del Vento, riusciranno miracolosamente a salvarsi la vita rientrando in sezione e chiudendo la porta blindata alle loro spalle. Franco morirà sul colpo, Francesco agonizzante dirà all’arrivo dei primi soccorsi, con l’ultimo  respiro “pensate a Franco, sta peggio di me”.  Morire per un volantino, la Storia obliata di quegli anni e anche questo, morire per mano di poco più che coetanei armati da guerra in nome dell’annientamento fisico del nemico.


Direttrici parellele e convergenti appunto, succede quindi che la notizia si sparge i ragazzi del Fronte della Gioventù, movimento giovanile del MSI, accorrono da tutta Roma in quella piazza, il sangue dei ragazzi è ancora fresco, le forze dell’ordine hanno delimitato l’area, c’è sgomento, gli sguardi sono persi nel vuoto “e la tua generazione scagliò al vento le bandiere, gonfiò l’aria di vendetta senza lutto né preghiere, sui quei passi da gigante per un attimo esitare ,scaricando poi la rabbia nella auto lungo il viale”.  Sangue chiama sangue se non sempre della parte opposta, succede che per disattenzione o per disprezzo un inviato del Tg1 getta un mozzicone di sigaretta che finisce nella pozza di sangue di Ciavatta, parte il parapiglia, i giovani missini hanno un contatto ravvicinato con i giornalisti, i carabinieri iniziano il lancio di lacrimogeni e spari in aria, in quel momento di grande caos un capitano dei carabinieri, Sivori, impugna l’arma di ordinanza e spara ad altezza uomo, la pistola si inceppa, se ne fa dare un’altra da un attendente e spara ancora, sta volta il colpo che parte lascia a terra un giovane ragazzo dai capelli biondi e gli occhi verdi come il mare, Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio corso sul posto appena saputo di ciò che era accaduto poche ore prima. Stefano viene colpito in mezzo agli occhi, ma non morirà sul colpo, bensì due giorni dopo in ospedale, la scia di sangue porta tre il numero dei caduti.

Aumenta la rabbia tra i ragazzi che “tra le lacrime e di vortici di fumo, da quei giorni la promessa di restare tutti figli nessuno”, dopo quel 7 gennaio 1978 i destini dei giovani che come Franco, Francesco e Stefano facevano militanza a Destra avranno i risvolti più diversi, c’è chi si darà al sociale lasciando per sempre la politica, c’è chi continuerà la militanza portando il sacrificio dei tre ragazzi come patrimonio culturale da difendere onorare, c’è chi sceglierà la via dell’eversione impugnando le armi per rispondere al fuoco con il fuoco, al sangue con il sangue.


Acca Laurentia, nome della lupa di Romolo e Remo, sarà il luogo spartiacque per un’intera generazione, e proprio come nel mito latino il filo conduttore sarà la scia di sangue che seguirà i fatti del 7 gennaio, con vendette verso i ragazzi di Sinistra e con lo sviluppo dell’antifascismo militante come arma proletaria a sinistra.

A pochi mesi di distanza dalla strage la scia diretta di sangue mieterà l’ultima vittima, Mario Bigonzetti, padre di Franco, che morirà suicida per il dolore.

Destini paralleli e convergenti in Italia post boom economico, in piena crisi politica dove per la prima volta la Dc cercava “stampelle” prima a destra e poi a sinistra, dove la magistratura era cieca e lenta, troppo anti per essere oggettiva; così da non condannare gli esecutori materiali della strage nonostante una confessione di un pentito delle BR, il ritrovamenti della Skorpion e il riconoscimento degli inquisiti da parte dei testimoni. Tutti scagionati per insufficienza di prove dalla Corte d’Assise di Roma.


Oggi dopo quarantasei anni dalla morte di Franco Francesco e Stefano un gruppo di ragazzi, loro coetanei, si ritroverà come ogni anno davanti a alla porta di quella sezione, in mezzo a quella piazzetta, in quella che una volta era la periferia piu sud-est di Roma, per rinnovare la promessa a quei tre ragazzi, che proprio come noi che proprio come noi andavano a scuola, ascoltavano musica, facevano sport, vivevano una vita normale coltivando la passione verso la Politica per rendere l’Italia una Nazione migliore.


Oggi dopo quarantasei anni vogliamo gridare forte il nostro “PRESENTE” combattendo ogni giorno qualsiasi forma di violenza o prevaricazione, andando oltre la vendetta, superando il disgusto per una giustizia non giusta raccontando con l’esempio questa Storia affinché non venga obliata nelle pagine strappate della Storia della nostra Nazione, facendo nostre le parole di Silvana, mamma di Stefano:  “Non Abbiamo dimenticato,Non Vogliamo dimenticare, Non Vogliamo che gli altri dimentichino”.




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