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Ai ragazzi di Buda. Ai ragazzi di Pest.

di Redazione


Ci sono date che gridano, anche a distanza di decenni.

Date che non invecchiano, perché il coraggio non ha tempo.

Il 23 ottobre 1956 è una di quelle.


Quel giorno, a Budapest, scese in piazza un popolo stanco di inginocchiarsi.

Stanco di vedere la propria identità calpestata da un potere straniero.

Stanco del silenzio, della paura, della miseria.

Quel giorno fu l’inizio di una rivolta che sapeva di libertà, di patria, di dignità.


Studenti, operai, donne, ragazzi poco più che adolescenti.

Tutti insieme, con in mano una bandiera a cui era stato strappato il simbolo del regime comunista. Un tricolore con un buco al centro: vuoto solo in apparenza, pieno di speranza e orgoglio.


Contro di loro, i carri armati sovietici.

Contro di loro, la repressione, i proiettili, le torture, i cadaveri appesi ai lampioni.

Ma il loro grido non fu mai soffocato:

“Libertà!” – Szabadság! – era il canto di un popolo che si era riscoperto vivo.


Il mondo restò a guardare.

Molti applaudirono in silenzio, pochi aiutarono davvero.


Ma l’Ungheria aveva già vinto, perché aveva mostrato cosa può fare un popolo quando si ricorda di essere Nazione.


Quella Rivoluzione ci riguarda. Ci riguarda ancora.

Riguarda ogni volta che la libertà viene barattata con l’ideologia.

Riguarda ogni volta che l’identità viene messa sotto processo.

Riguarda ogni giovane che crede ancora che patria, onore e coraggio non siano parole vuote.


Nel cuore dell’Europa, l’Ungheria ha insegnato al mondo che non esiste potere più grande della verità gridata da un popolo libero.


E quella verità vive ancora.

In chi non si arrende.

In chi combatte per essere sé stesso.

In chi non accetta di piegarsi al pensiero unico.


A loro, a quei ragazzi del ’56, il nostro eterno rispetto.

Perché nella storia dei popoli, ci sono momenti in cui si decide da che parte stare.

Loro hanno scelto la libertà. E hanno scritto la storia.

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