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Appunti di riforma fiscale

di Piergiorgio Laguardia



Sui tavoli del governo è allo studio una tra le più importanti riforme, considerata anche pilastro per il Pnrr: la riforma fiscale.

Questa riforma ha dei compiti importantissimi: soprattutto decide la redistribuzione del reddito, se incentivare o disincentivare i consumi e gli investimenti e stanare o meno quell’evasione non di necessità che sottrae allo Stato risorse finanziarie per finalità pubbliche.

Partiamo da ciò che veramente potrebbe decongestionare il sistema produttivo: la riduzione del cuneo fiscale.

Investire tra i 7 e i 15 miliardi sulla riduzione del cuneo significa agire su 3 traiettorie: 1 diminuire una pressione fiscale che disincentiva le imprese dall’assumere e fa arrivare nella busta paga pochi soldi ai lavoratori 2 rilanciare la competitività sui mercati internazionali 3 cementare le basi per una pace sociale.

C’è invece una soluzione sul tavolo che sarebbe tra le più dannose, controproducenti, antiprogressive e con un costo non irrilevante: la riduzione delle aliquote fiscali da 4 a 3.

Una delle più basilari lezioni di Keynes è che una detassazione di un reddito alto si trasforma in risparmio tenuto in giacenza, mentre se fatto ad un reddito da lavoro dipendente alimenta il circuito dei consumi.

Da una sorta di video-grafico de Il Sole 24 Ore emerge come la riduzione delle aliquote Irpef operate negli ultimi quarant’anni abbiano sempre prodotto un carico fiscale minore per i più ricchi e un carico fiscale maggiore in proporzione per i più poveri.

C’è invece un’altra ipotesi trapelata che partirebbe da una giusta consapevolezza come il dannosissimo problema della scarsa innovazione tecnologica delle imprese italiane, ma la sviluppa in maniera timida ed insufficiente: si pensa ad un incentivo per l’innovazione tecnologica simile a quello che formulò il compianto economista Smithiano Paolo Sylos Labini ( che in realtà proponeva incentivi e detassazioni per le imprese, soprattutto del Meridione, che finanziassero un centro ricerca per l’innovazione).

Ma credo che non basti per l’innovazione tecnologica: infatti da anni suggerisce giustamente l’economista Mazzuccato un ruolo centrale di una banca pubblica di investimenti che presti capitali ‘pazienti’ alle imprese finalizzati per ricerca e sviluppo.

Qui in Italia basterebbe implementare il ruolo di Cdp che agisce anche da prestatore di ultima istanza.

Quindi una spesa pubblica in deficit produttiva e non improduttiva come spesso è avvenuto negli ultimi anni: quando ad esempio il bilancio pubblico è stato spolpato fino all’osso per pagare i debiti del grande capitalismo privato ( vedi crisi dei mutui subprime) libero da lacciuoli legislativi, quando sono state condonate ( sia, ahimè, il Centrodestra, sia il centrosinistra) somme a grandi evasori, multinazionali del gioco d’azzardo ( 20 miliardi, governo csx)…

C’è bisogno di buonsenso e il Presidente Giorgia Meloni in varie occasioni ha ribadito come la ricchezza fosse prodotta da imprese e lavoratori, sottolineando il ruolo dei secondi ( anche se purtroppo omettendo il ruolo centrale anche dello Stato) dimostra una consapevolezza anche a destra di una pace sociale mai realizzata e da realizzare.


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