Leone XIV: un pastore con l’anima agostiniana, per una Chiesa che non ha paura
- Redazione
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Di Marco Di Pippa
C’è stata una strana emozione, giovedì sera, quando la fumata bianca ha bucato il cielo limpido di Roma. La folla non ha dovuto attendere molto: poco dopo le 19, il nuovo Papa si è affacciato dalla loggia di San Pietro. Lo sguardo umile, ma fermo. La voce tremante, ma piena. Leone XIV — all’anagrafe Robert Francis Prevost — si è presentato così: non come un rivoluzionario, ma come un successore. Non come un innovatore, ma come un custode. Il suo primo gesto è stato semplice e potente: “La pace sia con tutti voi!”. Non una parola nuova, ma la più antica delle parole cristiane, quella pronunciata dal Cristo risorto. Il Papa ha ripetuto questa formula più volte, come un martello gentile che bussa al cuore del mondo. Ma dietro quel saluto c’era una chiamata più profonda: tornare a una pace vera, non fatta di compromessi e di slogan, ma radicata in Dio, nella Verità, nell’Amore con la A maiuscola. Papa Leone XIV ha voluto ringraziare Papa Francesco. E lo ha fatto con rispetto e gratitudine, ma anche con quella chiarezza che non cerca ambiguità. È bene chiarirlo: non si tratta di una continuità ideologica o dottrinale, ma di una continuità spirituale e istituzionale, necessaria perché la Chiesa non si ricostruisce da zero a ogni Conclave. Leone XIV raccoglie un’eredità per correggerla, non per subirla. E lo fa segnando da subito un cambio di stile. Il punto centrale del suo discorso è stato tutto in una frase che ha fatto vibrare la piazza: “Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà”. È una promessa, ma anche un impegno. Non una carezza sdolcinata, ma un’affermazione piena di coraggio. In un mondo che tende a relativizzare tutto, Leone XIV ha parlato di bene e di male. E lo ha fatto con la serena certezza di chi sa che il Vangelo non ha bisogno di essere riscritto. E poi c’è Agostino. Il nuovo Papa è agostiniano, e non lo nasconde: “Con voi sono cristiano, per voi vescovo”. È questa la chiave per capire da dove arriva e dove vuole andare. L’umiltà dell’essere parte di un popolo, ma anche la responsabilità dell’essere guida. Non un capo, ma un padre. Non un influencer spirituale, ma un pastore. È qui che si intravede il cambio di rotta: meno rumore, più radici; meno scena, più Vangelo. Leone XIV ha parlato di una Chiesa che costruisce ponti. Ma attenzione: non quei ponti ambigui del politicamente corretto, che cedono al primo soffio di vento. Ha parlato di ponti fatti di dialogo, sì, ma anche di verità, di carità concreta, di giustizia. Una Chiesa aperta, ma non spalancata. Accogliente, ma radicata. Missionaria, ma salda nella sua identità. Ha parlato ai giovani, anche se non lo ha detto esplicitamente. Perché ogni parola era un invito a rialzarsi, a camminare, a non cedere alla stanchezza culturale e spirituale del nostro tempo. E soprattutto: a testimoniare con fierezza ciò in cui si crede. Una Chiesa che cammina, ha detto. Una Chiesa che non svende la sua fede per farsi accettare, ma che resta fedele a Cristo, senza compromessi. Alla fine, come in ogni grande inizio, il suo sguardo si è rivolto in alto: a Maria. L’ha invocata come madre della pace, come compagna di cammino. E noi, oggi, possiamo solo unirci a quella preghiera e guardare avanti. Perché forse è vero: il male non prevarrà. Ma solo se avremo il coraggio di credere ancora in qualcosa di più grande di noi. E magari, finalmente, anche in noi stessi.
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