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Armando Diaz, il Duca della Vittoria

Aggiornamento: 27 mar 2023

di Giuseppe Ferrante


Non sono molte le tombe che recano come data di morte il 29 febbraio e, senza ombra di dubbio, sono ancora meno quelle degli uomini che hanno segnato la storia di una nazione. Eppure, è questo il caso della tomba di Armando Diaz, uno dei più grandi uomini della storia d’Italia, il cui nome riempie il petto d’amor di Patria, i cui “resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza. Firmato, Diaz”.

Quando si legge sui libri di storia di Armando Diaz, si pensa immediatamente alla Grande Guerra, associando al nome del generale napoletano la personalità canonica di un generale severo e astuto, forgiato dal ferro delle armi. Nulla di più sbagliato.

Diaz trascorse gran parte della vita tra i suoi libri. Uno studioso stratega che, contro anche la più rosea delle aspettative, riuscì a ribaltare le sorti della quarta guerra d’indipendenza nazionale pensando innanzitutto a ricostituire il morale delle truppe. Ma andiamo per gradi.

Figlio d’arte (il nonno era un anziano ufficiale di Ferdinando II, il padre uno stimatissimo ammiraglio dei Borbone), Armando Vittorio Diaz nacque a Napoli in un tempo in cui Garibaldi aveva dichiarato la caduta dei Borbone e Vittorio Emanuele II si accingeva ad entrare nella Città partenopea in trionfo. Grazie alle possibilità economiche della nobile famiglia, Diaz cresceva leggendo libri e giornali che arrivavano a Napoli con i bastimenti mercantili americani, ammirando e sognando le imprese degli indigeni d’America che combattevano fieri contro gli invasori europei. Anche alla Nunziatella, la scuola militare eccellenza del Regno delle Due Sicilie prima e del Regno di Napoli poi, continuò a studiare le vicende indio-americane.

Eccelse sin da giovanissimo nella carriera militare, tanto da essere promosso, nel 1910, colonnello di fanteria e nel 1912 si aggregò al 93° reggimento della campagna libica. Diventato generale maggiore, collaborò con Cadorna nella fase di non intervento italiana; deciso poi il Governo di intraprendere il primo conflitto mondiale, fece parte del Comando supremo ed ottenne la coordinazione della 49° divisione sul Carso. Si distinse per le operazioni vicino Gorizia e a San Grado e, nel maggio del 1917, resistette alla controffensiva austriaca nei pressi di Versic e Jamiano. Con Diaz, il Regno d’Italia raggiunse punti sul Carso fino ad allora inimmaginabili. Già prima della fine del 15/18, rimanendo ferito ad un braccio, viene insignito della medaglia d’argento al valor militare. La sera dell’8 novembre 1917 fu chiamato a sostituire Cadorna come capo di Stato maggiore dell’esercito italiano. Recuperato ciò che rimaneva delle armate italiane, dopo la disfatta di Caporetto, organizzò la resistenza sul fiume Piave e sul monte Grappa.

Il fronte venne ridimensionato vista la minore disponibilità di uomini, ma questo consentì un migliore utilizzo delle forze in campo Diaz diede fiducia a nuovi ufficiali che poterono ambire alle più alte cariche militari, poiché più giovani e quindi più propensi ad accettare e mettere in pratica i moderni comandi del generale. Non a caso, tra le leve privilegiate di Diaz, figuravano i “ragazzi del ’99, i coscritti di leva che nel 1917, al compimento dei diciotto anni, vennero mandati in prima linea sui campi di battaglia. “Cantavano ancora…” Armando Diaz era famoso proprio per la sua grande umanità: addirittura, parlava in napoletano per rincuorare i soldati meridionali che avevano abbandonato le proprie terre per le ragioni patrie. Continuava a ripetere, sul fronte, che la guerra si vince con gli uomini e proprio la sua cura per i militari, unita ad una indubbia capacità tattica, portarono l’Italia ad una vittoriale epocale contro l’organizzatissimo esercito austriaco. Il piano di Diaz non si basa su attacchi frontali ma sull’assalto al nemico in un punto solo: Vittorio Veneto. Il generale napoletano quindi, attira i rinforzi austriaci lungo il Piave con una manovra difensiva, facendo credere al nemico che sia quello sul fiume illuogo dell’attacco principale, impedendogli così di agire a causa della piena. La controffensiva, portata avanti nella notte tra il 28 e il 29 ottobre del 1918, spezza il fronte dell’esercito austro-ungarico, che capitola in maniera definitiva il 4 novembre, quando Diaz stila il celebre “Bollettino della Vittoria” con il quale comunica il successo italiano e la rotta dell’esercito avversario.

Immediatamente, con Regio decreto, fu proclamato “Duca della Vittoria” ed accolto in Patria con gli allori dei condottieri di Roma. Nel 1918 diventa Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Equestre per il Merito Civile e Militare (riconoscimento attribuito dalla Repubblica di San Marino), mentre nel 1919 egli si vede assegnare il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, il titolo di Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata e il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia, ma anche varie onorificenze straniere, tra cui il titolo di Balì di Gran Croce d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta e il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Bagno in Inghilterra. Dopo aver assunto il ruolo di Ministro della Guerra nel governo di Mussolini, che gli attribuì il titolo personale di “Maresciallo d’Italia”, decise di ritirarsi a vita privata nel 1924. Proprio in vecchiaia, il generale napoletano viaggiò in America per l’inaugurazione del memoriale della Prima Guerra Mondiale e, in quella occasione, fu incoronato dalla tribù indiana Crow come fratello d’arme.

Osannato durante il ventennio, dimenticato dopo. Sulla casa dove nacque a Napoli, in via Correra 22, non c’è neppure una targa che lo ricordi.

Morì a Roma nel 1928 e fu sepolto nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove riposa vicino all’ammiraglio Paolo Thaon di Revel.

Un generale romantico, un gentiluomo della guerra, un crocevia della Storia, l’Eroe nazionale, il Napoletano che salvò ed ingrandì l’Italia.

  Un generale romantico, un gentiluomo della guerra, un crocevia della Storia, l’Eroe nazionale, il Napoletano che salvò ed ingrandì l’Italia.

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