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Un anno di guerra: Con l'Ucraina o con gli ucraini?

di Andrea Piccinno   Gli appassionati di scacchi lo sapranno: nel mondo degli alfieri e dei cavalli, delle torri e dei re, esistono dei termini assai precisi per definire situazioni che, altrimenti, sarebbero difficilmente riassumibili in poche sillabe. Uno di questi è particolarmente spiacevole, ma come l’intero gioco degli scacchi è spesso ritrovabile anche al di fuori della scacchiera, nelle nostre vite reali. È lo Zugzwang: una parola germanofona per indicare l’obbligo di muovere i nostri pezzi, pur sapendo di danneggiarci. È una situazione tipica perlopiù di alcuni finali di partita, quando un giocatore comprende che, pur avendo il vantaggio del turno, qualunque sua mossa lo porrebbe sotto scacco matto o lo porterebbe a perdite ingenti. E se i bravi scacchisti sono coloro che non si trovano mai in posizioni di zugzwang, i grandi politici e statisti sono invece coloro che si rendono conto quanto prima di esserci incappati.

In caso contrario, ciò a cui si va incontro sono rovinose sconfitte o, come nel caso di cui parleremo, il lento e continuo stillicidio dell’intera innocente popolazione. Oggi, l’invasione russa in territorio ucraino compie un anno: quella che doveva inizialmente essere una guerra-lampo è divenuta una guerra di posizione, la sfida che doveva riportare la Russia nell’élite delle grandi potenze mondiali l’ha definitivamente relegata al ruolo di potenza regionale subordinata al regime cinese. Lo scenario oggi più plausibile sembra quello che lo scorso anno tutti avrebbero voluto evitare, con una guerra lenta e l’intero Paese in stasi, una nuova Siria in piena Europa. Una situazione alla lunga usurante, un gomitolo che diviene ogni mese più difficile da sbrogliare. In questo scacchiere e in questo scenario, Ucraina e Russia ricoprono il ruolo della donna e non del re: la loro morte o la loro sussistenza sono fortemente indicatori dell’andazzo della partita, ma seppur su altri tavolieri questa partite andrebbe comunque avanti. I due re, ovviamente, sono Stati Uniti e Cina. Due re timidi, quasi impacciati. Mentre l’impero orientale è quasi restio a esporsi e rimane trincerato nel suo quadrato, pur dando continue indicazioni, gli americani muovono la loro pedina, cambiano casa e affrontano la sfida a viso aperto, ma male e in modo impacciato. Si tengono lontano dagli attacchi delle pedine avversarie, anche perché distratti da altro: hanno ben compreso come il centro geopolitico del mondo si stia spostando altrove e infatti gran parte delle loro azioni si concentra ormai nell’Oceano Pacifico e nell’Oceano Indiano. E poi c’è l’Europa, il pezzo che il re americano ha deciso di poter, forse, anche sacrificare. Il cavallo, se non addirittura il pedone: mandata subito avanti, sebbene relegata ormai a un ruolo marginale per via della totale inconsistenza geopolitica degli ultimi vent’anni e la completa assenza di visione a lungo termine su temi di fondamentale importanza quali l’industria o l’energia. Un’Europa tra l’incudine e il martello, incapace di tracciare una via propria, maldestra nelle mosse e inetta a progettare vie d’uscita. La partita a scacchi procede a una velocità talmente lenta dall’essere devastante nel mondo reale, ogni mese di passi non fatti verso la conclusione ha un prezzo altissimo: in termini economici per l’Europa, in termini di prestigio per USA e Russia, in termini di vite per gli ucraini. Perché l’ultimo anno è stato il trionfo delle ipocrisie, anche e soprattutto in Italia: dalle manifestazioni puramente simboliche in favore dell’Ucraina alle interviste a schiena tutt’altro che dritta al ministro russo Lavrov in prima serata, dalle condanne culturali all’arte e alla letteratura russa che sono in realtà via di salvezza e non di guerra. Gli stessi aiuti militari all’Ucraina, certamente necessari per difendersi dall’aggressione russa, sono ormai privi di senso e quasi nocivi per gli ucraini se non indirizzati verso una via ben precisa: quella della pace.   Chi scrive è sulle più totali posizioni antipacifiste, troppo spesso colme di vuota e melensa retorica, utili nei sogni tanto quanto inutili e nocive nella realtà. In questa storia, però, vanno riconosciute alcune affermazione che per alcuni potrebbero essere scomode. La prima è la presenza di un Paese sovrano aggredito e invaso, l’Ucraina, e di un Paese violento e invasore, la Russia. Non esiste giustificazionismo, non sono ammessi precedenti o trattati. Ce lo impone lo spirito europeo. La seconda è una netta differenza che da sempre esiste tra sovrastrutture fisiche o teoriche che dovrebbero sempre operare per il bene, come lo Stato, e l’individuo stesso: non sempre il bene del primo è il bene del secondo, quasi sempre il bene del secondo è il meglio del primo. Allo stesso modo, e ora più che mai, vi è una differenza abissale tra l’Ucraina, un Paese legittimamente in guerra perché invaso, e gli ucraini, un popolo martoriato e senza possibilità di vittoria se lasciato solo, con centinaia di migliaia di madri che vedono quotidianamente morire i loro figli e altrettante mogli che vedono spirare i loro mariti sotto i colpi di mortaio. La terza, la più scomoda e la più crudelmente reale, è che non sempre vincono i buoni, non sempre gli invasi si difendono e non sempre le idee e i valori bastano a portare a termine i propri piani. E anche se in questo caso tutti noi siamo vicini all’Ucraina, bisogna ammettere le uniche realtà possibili per mettere fine a questo stillicidio, proprio per il bene degli ucraini. Sono due le uniche soluzioni accettabili, giunti a questo punto. O lo Stato Ucraina e Zelensky stesso vengono messi con le spalle al muro dagli stessi Paese che finora hanno giustamente fornito le armi necessarie e ci si siede a trattare consapevoli di aver perso una guerra e dover fare delle concessioni, ma con nel cuore la vita di decine di milioni uomini e donne, oppure la NATO e gli americani dovrebbero fare ciò che è già stato dimostrato più volte nessuno abbia intenzione né voglia di fare, ossia scendere fisicamente al fianco delle milizie ucraine e dare il via ad uno scontro mondiale. La seconda soluzione, ça va sans dire, è al limite dell’impossibile, per costi economici e umani e perché non converrebbe a nessuno, se non alla Cina che troverebbe spazi ancor più grandi dove mettere le mani. Tutti gli errori ucraini di cui finora abbiamo parlato, si esplicitano nella lettera letta da Amadeus sul palco di Sanremo da parte di Zelensky. È raccapricciante, nocivo e vergognoso che un capo di Stato continui questa retorica sulla vittoria ad ogni costo: un discorso che si può fare da dietro un pc o da chi, come me, dal proprio balcone vede l’azzurro del mar Jonio, non da chi dalla propria vetrata vede uomini morire ogni giorno. Zelensky ha posto l’Ucraina in posizione di zugzwang ormai da mesi: ogni mossa costa miliardi di dollari e migliaia di vite umane. A questo punto, la domanda è d’obbligo per lui così come per noi: siamo dalla parte dell’Ucraina o degli ucraini?


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