Contro l’ambizione degli uomini
- Redazione
- 3 giorni fa
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Di Claudio Colonna
nel mondo contemporaneo l’ ambizione è considerata una qualità, una caratteristica fondamentale per la realizzazione dei propri obiettivi e, solo attraverso questi, la realizzazione di se stessi. Nel lavoro, nello studio, nello sport e in ogni progetto della vita si osanna il più ambizioso, il più “affamato”; per accedere al salone del successo bisogna passare per le porte del riscatto.
Generazioni sono state cresciute con il mito di un ascensore sociale che premia il lavoro, l’impegno, lo spirito di sacrificio; anch’esse qualità fondamentali nell’ immaginario collettivo che, insieme a una narrazione sbagliata del merito, ha instaurato negli uomini il principio fondamentale della dottrina liberal-capitalista: la concorrenza; non più le aziende, ma anche le persone sono spinte a concorrere l’una contro l’altra nel nome di una realizzazione individuale. E così ognuno è ristretto al suo individuo, divenendo necessaria la cura del proprio successo viene sacrificata, nella scala dei valori, la comunità; la condivisione e il sacrificio per altri diventano follia, l’unico obbiettivo diventa se stesso e il suo successo.
Ciò che ci ha portato a considerare normale quanto detto è ovviamente la nostra educazione storica, il contesto in cui siamo nati e cresciuti è, ovviamente, dettato da una visione del mondo che al momento risulta aver vinto il confronto con le altre: il capitalismo, questo ha compiuto una rivoluzione sia culturale che militare e nell’ultimo secolo ha espresso a pieno lla propria egemonia sul mondo, con il libro e la spada, Hollywood e Hiroshima. E’ questo il processo storico che influisce direttamente oggi nelle nostre vite, che ci mostra la cruda realtà umana allo stato più primitivo, quella di un istinto che ci fa pensare a noi, alla nostra salvezza e alla nostra “realizzazione”; e così milioni di giovani cresciuti nel mondo occidentale ritengono giusto tutto questo, si applicano e ricercano la propria ambizione, ne costruiscono dei pantheon per venerarla e inseguirla, ogni passione diventa ambizione e il fine delle nostre azioni muta, lo svolgimento di un'attività che ci appassiona non è fatto più per la passione, per il piacere che quell’attività ci da, ma per nutrire la nostra ambizione, si sfocia dunque nel finalismo del successo.
Eppure nella storia ne abbiamo di alternative, abbiamo altre visioni diametralmente opposte rispetto a come vediamo oggi questo tema, un esempio è il mondo classico, su tutti la Roma Repubblicana, dove nonostante le dinamiche politiche fossero pane quotidiano di ogni cittadino libero, chi ne rimaneva affamato e riteneva di poter mettere la propria ambizione davanti al bene di Roma era considerato, schiettamente, un traditore; lo stesso Caio Giulio Cesare con questa accusa venne pugnalato. E’ dunque naturale quesito di ogni ragionante interrogarsi sulla positività di quanto detto, la messa in discussione dei cardini su cui si fonda la società è il passo fondamentale per il suo cambiamento ed è desiderio di quanto scritto generare un interrogativo: tutto questo per noi è normale, ma è giusto?
Rimane d’altro canto necessario analizzare un altro tipo di vita, quello diametralmente opposto, in cui rimane fermo il fine e in cui si costruisce una linearità, il piacere che rimane piacere, in cui l’ impegno avviene non per desiderio di successo ma per il suo reale scopo; in questo gioca un ruolo fondamentale l’ altruismo, la volontà e la disponibilità a mettersi a disposizione degli altri, soprattutto della comunità; attraverso una rinuncia di se l’altruista contribuisce al benessere della comunità e rende il tutto capovolto, il sacrificio è accompagnato dalla gioia e la soddisfazione del prossimo regala la soddisfazione propria, si inizia a concepire l’idea per cui si preferisce che un dolore avvenga su di sé piuttosto che su un amico, per poi arrivare fino all’idea del morire per qualcun’altro, è qui che nasce la fratellanza. La reale differenza rimane poi in un atteggiamento che continua a specchiarsi tra le parti, l’interesse. Se nella vita ambiziosa vi è l’interesse personale, necessario per la realizzazione della propria ambizione, in quella non ambiziosa questo è rifiutato, l’ importanza di se stessi passa in secondo piano e dunque l’interesse personalistico, oltre che nauseante, diventa inutile.
Nonostante il contesto sopra analizzato c’è chi oggi vive la propria vita senza interesse, come a esempio i giusti militanti politici, che mettono la propria individualità in subordinazione alla propria comunità e alla propria idea. Tra i pensieri della filosofia ellenistica spunta l’importante corrente degli epicurei, che tra i temi affrontati ne risulta particolarmente calzante uno in questo confronto, d’altronde è proprio di quell’epoca la tendenza a parlare non più solo di politica ma anche di stili di vita, ovvero il concetto espresso con il termine greco di atarassia, ovvero quello stato di assenza di turbamento dovuto alle dinamiche della società, che permette all’uomo il piacere e quindi la felicità; risulta interessante come solo l’azione disinteressata possa sposare questa dottrina, disinteressandosi delle dinamiche di successo ci si allontana dal turbamento e quindi ci si rende sereni; gli epicurei intendevano anche però una lontananza alla vita politica in generale, aspetto fortemente dettato dal contesto storico in cui si sono sviluppati e che quindi oggi risulta non integralmente attualizzabile, nonostante questo possiamo trarre che l’ambizione e l’interesse generano turbamento, e inevitabilmente allontanano l’uomo dalla serenità.
Quello che non dobbiamo mai dimenticare è perché stiamo facendo qualcosa e cosa vogliamo, alla conclusione di questo scritto si abbinano facilmente le parole che lo scrittore Edgar Allan Poe disse riguardo questo determinato modo di vivere:
“è nel disprezzo dell'ambizione che si deve trovare uno dei principi fondamentali per la felicità sulla terra”
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