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Democrazia liberale vs democrazia sociale ed economica


di Piergiorgio Laguardia

Quante volte nei libri scritti dalla gente che piace alla gente che piace oppure in Tv abbiamo sentito elogi sperticati delle "democrazie liberali" come modello vincente?

Basterebbe aprire un libro di Storia contemporanea per comprendere come le democrazie liberali nell’Europa dell’Ottocento , che nascevano con Costituzioni ottriate e flessibili, prevedevano di fatto un suffragio ristretto, il disimpegno dello Stato nella tutela dei diritti sociali e dei lavoratori ed un laissez-faire nell’ambito economico.

Tali principi sono rimasti più o meno in vigore, anche se con innovazioni e modifiche più o meno importanti, anche oggi. Ovviamente però attenzione a non omologare fenomeni diversi, anche se con legami tra loro, come liberalismo e liberismo.

Ben diversa é invece la democrazia sociale ed economica e come esempio più lampante e completo basta prendere la Costituzione più bella del mondo, quella italiana, in particolare modo gli articoli che vanno all’incirca dal 36 al 53, che compongono la Costituzione economica, ma anche i primi articoli che riescono ad inserire i diritti e le libertà individuali in un quadro di democrazia sociale. Anzi sono proprio le democrazie sociali ed economica a valorizzare al meglio i principi liberali di libertà individuale, di pensiero, di espressione, di impresa ed i principi cardine della separazione dei poteri e di certezza della pena in tempi congrui.

Andando con ordine la nostra Costituzione mette lo Stato al centro nel diritto all’equa retribuzione, nell’ affermazione di una economia mista con monopoli naturali delle infrastrutture, dei servizi postali, dei servizi pubblici ( art 43), ed anche nella garanzia della libertà sindacale ( mai come in questo caso liberalismo e diritti dei lavoratori vanno in perfetta osmosi, perché la libertà di rivendicare diritti rende i lavoratori liberi ed emancipati). E gli art 41 e 53 Cost dimostrano a pieno come le libertà individuali vengano integrate perfettamente nella costituzione democratica: nell’art 41 la disciplina della libertà di esercizio di impresa e commerci fa sí che una sacrosanta libertà non vada ad intaccare la libertà di chi sta sotto. Perché la mia libertà finisce dove inizia la tua e una libertà portata all’estremo si risolve nello sfruttamento altrui e quindi nella violazione dì libertà. Keynes, che era un esponente di spicco dei Whigs, ossia I liberali, senza essere liberista risolse la faccenda liberalismo-liberismo introducendo l’utilità sociale dell’investimento, quindi anticipando più o meno l’art 41 Cost. Benedetto Croce invece, anche lui con grande ingegno, risolse la questione in termini filosofici.

Per completare il quadro però meritano un breve cenno il codice civile ed il codice di navigazione italiano: nonostante furono redatti nel Ventennio, nella stesura furono coinvolti giuristi liberali, futuri padri costituenti, come Piero Calamandrei ed infatti entrambi i codici rappresentano la massima esplicazione della dottrina liberale nella misura in cui si costruisce un perfetto equilibrio tra le parti in gioco, ad esempio apponendo tutele e garanzie a debitore e creditore, alla posizione giuridica attiva ed alla posizione giuridica passiva e, per quanto riguarda il codice di navigazione, il fondamentale principio di libertà di navigazione nelle acque territoriali, di fondamentale importanza geoeconomica.

Fino a qualche mese fa, però, con l’introduzione del green pass sono stati sacrificati democrazia e libertà individuale: democratico nella misura in cui si subordinava, senza nemmeno prevedere il pur migliorabilissimo smartworking, il diritto al lavoro ad un lasciapassare verde che non escludeva il contagio, la libertà individuale nella misura in cui un consumatore in determinate attività non poteva essere più tale se non vaccinato. E le attività hanno dovuto fare i conti con ammanchi di cassa.

A livello politico, invece, un partito come Forza Italia, che si professa liberale ed addirittura per la rivoluzione liberale fin dalla nascita, ha avallato ( con la Lega), con i tre ministri al governo oggi riscopertisi calendiani, le direttive cinesi del ministro Speranza che hanno compresso la libertà. Mentre su mafia e grande evasione liberi tutti, se non fosse che nell’ultima legge di bilancio Fdi si è opposta al condono dei reati tributari voluto da Forza Italia. Che ha ben pensato di non ricandidare uno dei pochi liberali rimasti in circolazione, Andrea Ruggieri, ma su questo Porro, Capezzone e Cruciani hanno ben spiegato la situazione.

Ma nonostante questo oggi serve una visione comunitaria inserita in una cornice di democrazia economica per frenare gli individualismi ed i protagonismi sfrenati, in economia ed in politica, e per dirigere tutte le giustissime prerogative individuali verso un obiettivo di crescita della comunità. Una comunità che si fondi sulla solidarietà, sullo spiccato senso di identità, sull’ecologismo patriottico, sulla cooperazione, su una partecipazione agli utili d’impresa ed alla democratizzazione dei processi aziendali. Occorre prendere spunto dalla produzione sociale comunitaria di Luis Arce ed Evo Morales in Bolivia, l’esperienza olivettiana ed unirla con quella dimensione spirituale richiamata da Julius Evola e Marcello Veneziani che eleva i membri della comunità verso obiettivi alti per la comunità. Questa è la sfida più grande per il governo in carica nei prossimi 1800 giorni.





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