Geopolitica pontificia
- Redazione
- 19 ore fa
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Di Andrea Campiglio
E così anche questa volta niente Italiani. Si è ripetuta la stessa dinamica degli ultimi conclavi: alla chiusura delle porte della Sistina si crea un “cordone sanitario” attorno ai porporati tricolori, che pur essendo il gruppo di maggioranza relativa non riescono a polarizzare su di sé il voto degli altri cardinali. Dopo Siri, Martini, Scola si aggiunge quindi Parolin, l’ennesimo italiano entrato Papa ed uscito cardinale.
Le chiavi di Pietro passano a uno statunitense per la prima volta nella storia, un evento che tanti credevano impossibile perché infrange la regola aurea che suggerisce di disgiungere potere politico e spirituale.
Prevost, nuovo Papa con il nome di Leone XIV, è una figura alquanto misteriosa: i vaticanisti avevano preparato dossier con le opinioni dei possibili papabili, ma la cartella di Prevost si riassume in una serie di “ignoto” a proposito di ogni tema delicato. Prevost è un diplomatico, con una lunga esperienza in Perù, una madre spagnola e un padre per metà francese e metà italiano, cosa che ne fa un candidato accettabile sia per l’anglosfera che per l’Europa Latina.
È stato anche superiore degli Agostiniani, un ordine ad oggi abbastanza secondario: non conta neanche 3000 membri in tutto il mondo e fino ad ora non aveva mai espresso un Papa.
Proprio la scarsità di informazioni circa le sue idee fa capire che è un personaggio estremamente attento, che evita la ribalta mediatica e i commenti divisivi, un moderato pensato per mettere insieme i settori più lontani.
Politicamente si sa poco: avverso a Trump e Vance per la gestione dei migranti, risulta comunque iscritto nelle liste elettorali repubblicane, con ultimo rinnovo recente (nel 2023). Dopo settimane in cui tutti i cardinali hanno parlato di un Pontefice in linea con Bergoglio (fortemente mediatico, proveniente dalle periferie e con una politica di rottura verso il passato) Prevost si presenta come l’esatto contrario: schivo, nato nel centro del potere mondiale, con incarichi recenti nella Curia Romana e una decisa tendenza a conciliare.
Anche la scelta su come presentarsi è di rottura: abito con la Mozzetta, che Bergoglio aveva rimosso, croce d’oro e scelta di un nome con una forte tradizione, ma insieme anche diversi riferimenti al predecessore e al valore della Sinodalità. Una serie di scelte che permettono di tranquillizzare sia i progressisti che, speriamo, i conservatori.
Ora però la grande domanda è: che peso può avere un americano nelle prospettive che attendono la Chiesa Cattolica?
La questione economica: diciamocelo senza giri di parole: le finanze di Oltretevere sono piuttosto mal messe, complice anche il crollo di offerte avvenuto sotto l’ultimo pontificato. Tra tutte le conferenze episcopali, quella USA è la principale finanziatrice del Vaticano, ma anche quella che di recente aveva visto un calo significativo delle proprie offerte a causa di diversi scandali che hanno scosso le diocesi locali. La scelta di un americano potrebbe facilitare molte cose in questo senso.
Questione diplomatica: gli Americani, si sa, non sono molto ben visti in diversi fronti caldi, come il Medio Oriente, e sicuramente non possono essere considerati dei mediatori, cosa che invece la Chiesa ha sempre cercato di essere. Questo potrebbe essere un problema in prospettiva? Rimane uno dei principali interrogativi da qui ai prossimi anni.
Spostandosi ancora più ad est, un altro tema caldo: la Cina.
Il Vaticano ha chiuso un accordo con Pechino che si è rivelato divisivo: molti cattolici, guidati dall’eroico cardinal Zen, di Hong Kong, lo hanno denunciato come un tradimento e una sottomissione al regime comunista. Questi accordi, che Parolin considera il suo capolavoro diplomatico (ma che potrebbero essergli costati il Pontificato) sono stati accolti con diffidenza e talvolta ostilità da diversi esponenti, spirituali e politici, e tra questi ultimi c’è sicuramente la Casa Bianca. La scelta di Prevost si inserisce quindi in un riposizionamento della Chiesa in vista di quella “terza guerra mondiale a pezzi” che sta scoppiando?
A mio avviso quindi, è abbastanza inutile leggere l’elezione di Prevost come un atto pro o contro Trump. Trump ha ancora tre anni e mezzo di potere, mentre Leone, ci auguriamo, molti di più, per la relativamente giovane età (70 anni non ancora compiuti).
Dal punto di vista della futura Geopolitica Vaticana da adesso in poi la domanda è essenzialmente questa: Leone sarà considerato più un Papa americano o un Americano Papa?
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