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Dino Gassani, esempio di Dignità

di Giuseppe Ferrante


Quando alla porta del suo studio di Salerno bussarono gli scagnozzi di Raffaele Catapano, l’avvocato Gassani sapeva benissimo che se non avesse accettato di convincere il suo cliente Biagio Garzione a ritrattare la testimonianza di accusa rivolta a noti esponenti della camorra vesuviana, non avrebbe avuto scampo.

Fu in quel momento, il 27 marzo 1981, in un venerdì sera qualunque al Corso Vittorio Emanuele di Salerno, che Leopoldo “Dino” Gassani scelse la via degli Uomini che non possono “perdere ogni dignità” diventando martire di camorra.


A leggere le pagine scritte da chi lo ha conosciuto ed amato in vita, Dino Gassani fu un uomo dalla sensibilità rara, dalla cultura sconfinata e dall’abilità oratoria e forense massime, tanto da essere considerato, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, tra i più grandi penalisti d’Italia. Politico d’eccellenza nel Movimento sociale di Giorgio Almirante, per il quale ricoprì l’incarico di consigliere regionale, fu un punto di riferimento non solo per gli uomini politici del suo tempo, ma anche per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno per il quale fu consigliere.


La storia del suo assassinio comincia nel 1978, quando aveva assunto la difesa di Biagio Garzione. telefonista dell’organizzazione di sequestri vicina alla N.C.O., che convinse, in un tempo in cui non era stata ancora approvata la legge a tutela dei collaboratori di giustizia, a rilasciare delle importanti testimonianze per mettere in ginocchio l’intera organizzazione criminale. Per questo motivo, i cutoliani rivolsero al penalista diverse minacce, davanti alle quali Dino Gassani decise di non piegarsi mai. Ma fu l’affermazione di Catapano “Garzione è l’attore, l’avvocato Gassani è il regista” a decretare la sua condanna a morte.

Il suo omicidio fu eseguito da due emissari proprio di Catapano che avevano ottenuto un appuntamento da Gassani spacciandosi per dei nuovi clienti. Entrati nello studio di Dino Gassani, i cutoliani lo minacciarono di morte se non avesse convinto Garzione a ritrattare le accuse alla N.C.O. Dino, preso da un impeto di rabbia, prima provò ad allontanare i suoi assassini, poi scrisse su un foglietto ”Se sono matto li butto fuori” e poi, ancora, quello che si legge oggi come un cristallino testamento spirituale: “Non posso perdere ogni dignità”. Dino Gassani fu freddato da due colpi di pistola, uno al cuore e l’altro alla tempia, ed il suo sangue macchiò la scrivania e la bandiera dell’Italia posta immediatamente alle sue spalle. Insieme a lui, fu ucciso anche il segretario Pino Grimaldi che, quasi come in una tragica profezia, diceva sempre “io morirò con l’avvocato Gassani”.


Nell’immediato, nessuno ebbe davvero la percezione di quanto fosse accaduto nello studio dell’avvocato Gassani, tanto che solo dopo anni ed anni di indagini, testimonianze e riscontri processuali siamo in grado di raccontare del sacrificio e del coraggio di Dino Gassani nella loro piena autenticità. Ragion per cui, nel 2009, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli ha conferito la medaglia d’oro al valor civile con la motivazione “con eroico coraggio e grande etica professionale, non si piegava alle pressioni della malavita organizzata affinché abbandonasse la difesa di un imputato appartenente ad una banda di sequestratori, il quale aveva collaborato con la giustizia e consentito l'individuazione degli altri componenti dell'organizzazione criminale. A seguito di un proditorio agguato cadeva vittima innocente della camorra, sacrificando la vita ai più nobili ideali di dignità morale e di legalità”.


Tanto è stato fatto, ma tanto ancora c’è da fare per eternare il ricordo di Dino Gassani, l’avvocato e il politico che, mai domo davanti a ricatto, violenza e morte, ha voluto insegnare all’Italia che dignità e giustizia sono valori connaturati dell’Uomo.


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