di Cesare Taddei
Il male occidentale, civiltà alla conquista di spazi vitali, quale destino per l’Europa?
Nonostante il titolo possa in qualche modo apparire anacronistico a un primo approccio, in realtà l’idea di Impero è ciò di più attuale e necessario durante una crisi umana e politica profonda.
È il rigurgito di un mondo che si ribella alla modernità, all’atlantismo, all’alta finanza e alla società aperta, fluida. La storia anche a noi europei impone, per prosperare, di allargare la prospettiva, rifiutando i limiti geografici e i veteronazionalismi, citando Jean Thiriart ”Non esiste più, attualmente, né indipendenza effettiva, né progresso possibile, al di fuori dei grandi complessi politici organizzati su scala continentale.”
Già nei primi anni del XX secolo il generale Haushofer e il politologo Carl Schmitt compresero che la società per sopravvivere dovesse ragionare per spazi.
Il primo, teorizzò il Lebensraum limitandosi tuttavia alla necessità espansionistica della Germania di far fronte al suo fulmineo sviluppo sociale ed economico, per raccogliere non solo le risorse ma soprattutto i popoli di lingua e cultura tedesca rimasti fuori dai confini e spesso discriminati dopo il trattato di Versailles.
L’altro superava il concetto di nazione attraverso la teoria del Grossraum e proponeva una riorganizzazione di grandi spazi come vere entità politiche giuridiche. Pur non essendo ancora riconosciuto e accettato, l’esempio dei paesi dell’America Latina e del mondo islamico ci dimostra come negli ultimi vent’anni, sia in atto in quelle regioni un processo di forte avvicinamento, compattamento culturale, etnico e religioso, dei veri e propri blocchi geostrategici.
Non stiamo parlando più a questo punto di paesi bensì di civiltà, le quali condividono un’esperienza storica, una scala di valori comuni, prediligono la comunità anziché l’individuo e che provano la forte necessità di difendersi da un nemico troppo potente. Sia il filosofo eurasista Alexsandr Dugin nel Continente Russia sia l’intellettuale Alain de Benoist nel Il male americano, sono concordi che lo scontro planetario si traduca oggi nella dicotomia tra l’Occidente che rappresenta la modernità e l’Oriente, il conservatorismo puro, la Tradizione. In questo scenario di netta contrapposizione ideologica, la Russia o Eurasia grazie alla sua natura tellurocratica può e deve ergersi a guida per un’alleanza tra le civiltà e rappresenta l’unico baluardo naturale contro la talassocrazia degli Stati Uniti, la NATO e la loro strategia d’influenza e manipolazione del mondo.
La teoria neo-eurasista, infatti, affonda le sue radici nelle tesi di uno dei padri della geopolitica, Sir Halford Mackinder esposte nell’opera Democratic Ideals and Reality, in cui la Russia costituirebbe il nucleo dell’Heartland (Terra Centrale) che contende il dominio della World Land (Isola-Mondo) alle potenze marittime (all’epoca Gran Bretagna e Stati Uniti): “Chi regna sulla Terra Centrale, regna sull’Isola-Mondo. Chi regna sull’Isola-Mondo, regna sul mondo”.
A questo punto lo Stato Nazione è il vero concetto obsoleto, un costrutto sociale, una presunta garanzia di sovranità che ha contribuito a rinchiuderci nella xenofobia e nella paura degli altri.
Ciò spiega perché l’Unione Europea non avrà mai una pianificazione politica condivisa, rimanendo dilaniata dai contrasti interni.
Oggi qual è il destino d’Europa trovandosi la stessa tra l’incudine e il martello? Restare vassallo degli Stati Uniti o scegliere nuove opportunità?
Nonostante l’eurasiatismo inviti a costituire un’alleanza tra civiltà, una federazione continentale difendendone i suoi particolarismi(propone un equilibrio tra autonomia locale e autonomia strategica centrale) esclude i popoli europei nel momento in cui ne rifiuta l’assimilazione.
Dugin nel Eurasia Vladimir Putin e la grande politica afferma infatti che la Russia e l’Europa costituiscono due civiltà differenti, due tipi storico- culturali diversi (uno slavo-turanico l’altro romano-germanico) e abbiano conosciuto due sviluppi di matrice culturale separati da migliaia di anni. Rifiuta categoricamente la teoria del fondatore della Jeune Europe, Jean Thiriart di costruire un impero da Dublino e Vladivostok.
Tuttavia il teorico belga, consapevole che la storia europea ci dimostri quanto i suoi popoli siano diventati potenza mondiale soltanto quando assumevano un carattere imperiale, propose qualcosa di provocatorio, assurdo ma stimolante.
Se oggi né la Francia né la Germania vogliono e possono raccogliere il testimone come in passato di guide per gli europei a questo punto perché non rinunciare alla sovranità nazionale e partecipare alla costruzione della più grande potenza planetaria? Un impero a organizzazione federale dove la nostra identità sarebbe preservata, pur diventando una provincia.
Il prezzo sarebbe parlare il russo e assimilarne la cultura ma con la prospettiva di non essere più insignificanti ma parte di un progetto più alto, più grande. Lo scopo non sarebbe solo di combattere meglio la modernità né tantomeno di vivere in un perenne conflitto perché lo stesso Dugin parla di un’ostilità reattiva ovvero nel momento in cui gli Stati Uniti smettessero di comportarsi da imperialisti, non minacciassero la Tradizione diffondendo a tutti i costi il loro modello sociale, lo stile di vita unico e universale, questo scontro cesserebbe immediatamente.
L’obiettivo è la pace, l’autonomia dei popoli, la prosperità di ognuno di essi, l’accettazione dell’esistenza dell’altro e la rinascita dell’Europa dall’anonimato.
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