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Figli d'Italia - Hic sunt Leones

di Mattia Vicentini


Stefano Recchioni scriveva nel suo diario: “Mi considerano diverso perché non sanno cos’è l’amore”. Parlava dell’amore verso una ragazza, cosa normale per un ragazzo di 19 anni; ma non solo.

Il suo amore non era solo quello di un cuore, ma di tanti cuori che battevano e ancora battono all’unisono per un simbolo, per una storia, per un’idea.


E allora, come raccontare quest’amore alle future generazioni, ai nuovi militanti e a tutti coloro i quali stanno crescendo in quest’epoca nella quale il sacrificio in politica non è più fortunatamente contemplato?


É la storia a venirci incontro, il racconto di ragazzi che giovanissimi hanno scelto da che parte stare, si sono rispecchiati in un’idea ed hanno combattuto per essa. Non l’hanno rinnegata dinnanzi alle difficoltà e consapevoli del rischio che correvano sono rimasti ritti sulla cima del mondo.


Ragazzi come noi, con le nostre paure, i nostri amori, le difficoltà, le gioie e i sogni.

Giovani che però sono nati in un periodo sbagliato, in cui essere di destra spesso significava morire. Questa è la storia di Acca Larenzia.


É il tardo pomeriggio del 7 gennaio 1978 quando cinque ragazzi del Fronte della Gioventù escono dalla sede romana del Movimento Sociale Italiano di via Acca Larenzia per pubblicizzare con un volantinaggio, insieme ad altri ragazzi che li attendevano in piazza risorgimento, un concerto degli Amici del Vento.

All’uscita però vengono investiti da una raffica di colpi d’armi automatiche: Franco Bigonzetti (20 anni) muore sul colpo; Francesco Ciavatta (18 anni), nel tentativo di sfuggire all’agguato terrorista, viene rincorso ed assassinato; solo gli altri tre riusciranno a rifugiarsi all’interno della sede.


Nelle ore successive accorreranno da ogni parte della Capitale i militanti del Fronte, sconvolti ed indignati da quello che è l’ennesimo attentato frutto di un clima d’odio crescente in quegli anni. I militanti organizzano una manifestazione sul luogo della tragedia: quando un giornalista della Rai getta a terra un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso di una delle vittime, gli animi inevitabilmente si accendono di fronte al gesto vile e vergognoso. Gli scontri che ne nascono portano all’intervento delle forze dell’ordine: partono alcuni colpi, e i testimoni raccontano di aver visto il capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori sparare mirando ad altezza d'uomo. La sua arma si inceppa, l'ufficiale si fa quindi consegnare la pistola dal suo attendente e spara di nuovo: questa volta, centra in piena fronte Stefano Recchioni (19 anni).


L’onda lunga di quel 7 gennaio 1978 porterà poi, a distanza di un anno, all’assassinio di altri due giovani studenti di destra: durante la prima commemorazione, dispersa dalle forze dell’ordine, Alberto Giaquinto (17 anni) viene inseguito da una volante e freddato alla testa dai colpi del poliziotto Alberto Speranza; nel frattempo, un commando dei “Compagni organizzati per il comunismo” assalta un bar ammazzando Stefano Cecchetti (18 anni).

Soltanto Speranza, a distanza di dieci anni e dopo quattro processi, sarà definitivamente condannato per eccesso colposo di legittima difesa (e non per omicidio volontario, come invece la situazione suggeriva); gli assassini comunisti, invece, non verranno mai trovati.


Non esiste pace senza giustizia, non esiste giustizia senza verità. Ed ancora oggi a quarantacinque anni di distanza siamo qui a chiedere a gran voce che i vili assassini paghino per quei gesti. Solo così potremmo davvero considerare chiuso quel terribile periodo storico.


Intanto loro ci guardano da lassù, ci danno forza e gioiscono con noi; la nostra vittoria dev’essere anche nel loro ricordo. Perché sono morti figli d’Italia, ma rinasceranno per mille anni.



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