di Fabio Morelli
SiAmo l’Italia. Questo, oltreché un motto efficace e una constatazione, è stato il titolo della 12^ Assemblea Nazionale di ANCI Giovani, tenutasi gli scorsi 24 e 25 marzo a Treviso.
Un evento che ha richiamato nella provincia veneta più di 800 amministratori da tutta Italia, tutti con meno di 35 anni, e tutti impegnati nella Cosa pubblica.
Una, la principale richiesta: essere ascoltati.
Una, la principale missione: cambiare questo Paese, per migliorare la vita di tutti quanti i cittadini.
Un deciso ‘basta!’, insomma, alla retorica che chiama in causa i giovani soltanto in riferimento al futuro: spiacenti, siamo anche il presente. Se la premessa è ottima, e così pure la prospettiva, c’è però un problema: dati ANCI alla mano (come presentati in assemblea), i giovani amministratori locali under 35 non solo sono pochi, ma pure in diminuzione. Se nel 2001 erano circa il 23% del totale, oggi sono il 18%, che in numeri assoluti non arrivano a 20.000. In compenso, gli ultra 65enni impegnati nelle Amministrazioni locali sono passati dall’8% del 2001, al 21% di oggi. Indubbiamente sul dato influisce l’invecchiamento della popolazione, ma non meno pesa il progressivo allontanamento dei giovani dalla Politica. Sul perché questo accada, oltre ai soliti ‘non si sentono rappresentanti’ e ‘la Politica è complicata e distante’, azzarderei un’altra prospettiva: la crescita esponenziale dei Social, perlomeno nella misura in cui - per molti - da mezzo sono diventati un fine. I Social Network, infatti, sono silenziosamente riusciti a spostare lo spazio del dibattito dalle piazze alle piazze virtuali: uno spazio più comodo in cui dire la propria, godendo del privilegio di poter ignorare - senza difficoltà - l’opinione dell’avversario. Guarda caso, le nuove generazioni sono dialetticamente sempre meno capaci, sempre più insicure e spaventate dell’opinione altrui: tutto ciò trova spazio in un carattere più fragile, evidentemente antitetico a quello che serve nell’agone politico. Eppure la scuola, che è il luogo in cui i giovani passano più tempo, pare non porsi il problema: il merito (e quindi la selezione, quello spirito di sana competizione che la abbraccia) non piace, le occasioni di dibattito si rifuggono, e si afferma ormai la tendenza a voler depotenziare la materie umanistiche, ontologicamente le più retoriche, per fare spazio alle discipline STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics). A questo si aggiunga che, molto spesso, quei pochi che si mettono in gioco si scontrano con un’altra realtà: ricavatisi un ruolo di primo piano durante la campagna elettorale, sono poi ritenuti troppo acerbi per cimentarsi nei ruoli di primo piano. Il che non è né motivante, né tantomeno meritocratico: così, molti se ne vanno; tanti non ritornano; e alcuni non si avvicinano neppure. Del resto, non possiamo fare finta di non vedere cosa siano diventati i consigli comunali oggi. I comuni, soprattutto quelli più piccoli, incedono benissimo con pochi consigli comunali all’anno, qualche riunione di Giunta al mese, e tutte le determine che occorrono, le quali però - dove si aggiungono le carenze di personale - accade siano firmate dallo stesso sindaco, che mantiene la responsabilità del settore. In un quadro simile, però, i consiglieri di maggioranza finiscono per essere il votificio del sindaco, e l’opposizione, pur facendosi sentire, quel poco che riesce a portare a casa rischia di ottenerlo col ricorso alla giustizia contabile, o amministrativa (solo dove è possibile, e sempre a cose fatte). Ecco allora che, tornando ad ANCI, serve più Politica nei comuni: più dibattito, più discussione. E dobbiamo avere meno paura di dirlo, anche se là fuori l’aria è un po’ più amica di chi chiede maggior agibilità per i sindaci.
Se si vogliono davvero abbattere le distanze tra la Politica e i cittadini, bisogna riportare al centro il dibattito, come pratica; e i consigli comunali, vale a dire gli organi più vicini ai cittadini, non possono che essere i primi contesti su cui porre l’attenzione.
Comentários