I ragazzi del ’99.
- Redazione
- 25 mar 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Claudio Usai
In questi giorni di lutto nazionale in cui imperversa la “Guerra del Virus” e l’Italia registra il maggior numero di morti al mondo, il rettore dell’Università di Padova in una recente intervista ha dichiarato al Gazzettino: «La laurea abilitante in Medicina è una misura molto forte, ma i ragazzi che escono dalle nostre lauree hanno una preparazione solida. Specializzandi e studenti sono i nostri ragazzi del '99, meritano un riconoscimento».
È ormai chiaro che ci troviamo di fronte ad un evento storico che impegnerà duramente e a lungo le risorse estreme della nostra nazione.
L’emergenza del coronavirus corrisponde ad una guerra totale contro un nemico subdolo e invisibile che sta mettendo a dura prova il nostro sistema sanitario e sociale. Il riferimento da parte del Rettore ai “ragazzi del ’99”, i giovani appena laureati in Medicina e i ragazzi infermieri che hanno dovuto anticipare la fine del corso, che vengono “arruolati” per il contagio o per la morte di altrettanti medici, ci riporta alla mente quei “Ragazzi del ‘99” che parteciparono alla Grande Guerra.
Lo Stato ha recentemente aperto un bando per 300 nuovi medici, è oramai “Una vera e propria chiamata alle armi”. Anche questa volta le similitudini e le suggestioni che si riferiscono all’epidemia ci ricordano la Prima Guerra Mondiale. Sono storie di ieri che ci parlano di oggi.
Nell'ottobre del 1917 a Caporetto il nostro esercito venne travolto dalle truppe austro-tedesche. Centinaia di migliaia di soldati e civili furono costretti alla fuga. L’Italia era al collasso, mentre il governo era incapace anche solo di comprendere la portata del disastro (quanti riferimenti all’oggi). Il comandante dell’esercito Luigi Cadorna, primo responsabile della sconfitta, accusò i suoi fanti di essere scappati senza combattere; una falsità che marchierà d’infamia il nostro Paese di fronte ad Alleati (Francia e Inghilterra) che non ci amano e non ci amarono mai e che assai poco fecero per aiutarci (tranne gli Stati Uniti, che entrarono in guerra nel 1917 e che mandarono sul Piave le loro truppe migliori).
Ma i soldati italiani arrivati sulla Linea del Piave s’inchiodarono con i loro moschetti, bisacce ed elmetti ad ogni roccia e riva del fiume, fermando da soli l’invasione.
La chiamarono La Leggenda del Piave perché pochi mesi dopo in quello stesso rivo, una generazione di soldati sedicenni, diciassettenni e diciottenni prenderà le redini del conflitto e capovolgerà l’esito per gli italiani, travolgendo gli austriaci e, giunta a Vittorio Veneto e Trieste, vincerà la guerra.
Merita di essere raccontata questa storia per ricordarci che quando arriva il momento più difficile, noi italiani ci mettiamo al nostro posto, sulla nostra terra, nelle nostre case e non permettiamo a nessuno di passare, che sia una divisione austriaca o tedesca o un virus cinese: ci organizziamo, resistiamo e “facciamo” il Piave.
Merita poi di essere chiarita un’altra cosa: quando noi entrammo in guerra nel “Maggio radioso” del 1915, non tradimmo affatto i nostri alleati, come spesso si sente ripetere falsamente. Il trattato della Triplice Alleanza stabiliva che solo in caso di un attacco di un nemico esterno, gli italiani avrebbero dovuto entrare in guerra a fianco di Germania e Austria; sappiamo inoltre che furono gli austriaci a dichiarare la guerra, una guerra offensiva contro la Serbia, dando inizio al conflitto che diventerà globale, violando così il Trattato; per questo motivo l’Italia non violò i patti.
Gli austriaci inoltre all’inizio del conflitto in cambio della neutralità dell’Italia attraverso la mediazione della Germania, promisero la cessione di Trento e Trieste pacificamente, ma i nostri servizi segreti di allora intercettarono le dichiarazioni segrete dello Stato Maggiore austriaco che era pronto a rimangiarsi tutto a guerra vittoriosa conclusa.
Non bisogna dimenticare che nel 1908, quando si scatenò il terribile Terremoto di Messina, sempre da fonti austriache risulta che i generali austroungarici proposero all’Imperatore Francesco Giuseppe “un attacco risolutore”, con l’Italia in ginocchio e il nostro esercito completamente impegnato nel sisma (a proposito di voltafaccia). L’imperatore rifiutò in extremis, ma l’Impero d’Austria fu l’unico Paese a non inviare aiuti all’Italia durante quella catastrofe.
La Prima Guerra Mondiale rappresenta ed è stata una guerra patriottica durissima, una guerra che ci ha dato l’identità nazionale che neanche il Risorgimento era riuscito a far nascere per intero; per molti storici fu la Quarta Guerra d’Indipendenza, perché per la prima volta con la nascita degli eserciti di massa e dello sviluppo industriale, coinvolse tutta la popolazione italiana. Fu una guerra atroce e crudele, ma rimane un grande ricordo di quel conflitto, che non è una memoria, perché il ricordo va oltre i semplici fatti, perché li vincola ad uno stato emotivo che ci serve a capire meglio quegli episodi lontani.
Nella Grande Guerra i “Ragazzi del 99” erano circa 270000, soltanto la metà tornò a casa; un’intera generazione fu immolata per la Patria, eppure proprio da loro nacque la riscossa dopo la disfatta di Caporetto.
Perché nei giovani italiani risiede qualcosa su cui noi dovremmo puntare con decisione.
I giovani del 1899 e quelli del 1999 sono accomunati: come quelli di oggi, erano dei giovani che avevano appena terminato gli studi, presi e inviati al fronte, ma non per questo erano meno consapevoli di quello che stava capitando.
Ho letto la lettera di uno di loro, inviata alla famiglia, e voglio citarla: «Noi siamo l’ultima speranza, però faremo del nostro meglio, non significa che vogliamo vincere, significa fare del nostro meglio».
E se oggi come oggi serve un esempio, bisogna prenderlo da quei ragazzi di un secolo fa che erano consapevoli di quello che stavano compiendo per l’Italia, nella situazione in cui versava il nostro Paese, ma non per questo rinunciarono al loro sacrificio per ottenere quello che adesso noi abbiamo, e che avremo se tutti faranno il nostro dovere: giustizia, libertà, democrazia, che non sono regali, sono cose che si conquistano e che si mantengono giorno per giorno.
Quindi dobbiamo prendere come esempio di quei poveri ragazzi che morirono per l’Italia.
Oltre cento anni fa i soldati italiani che entrarono a Vittorio Veneto erano con la popolazione, come adesso lo sono i medici e gli infermieri.
Possiamo solo immaginare la gioia e gli abbracci, le lacrime per la vittoria e per la pace conquistata, ai sacrifici che quei ragazzi dovettero affrontare; lo spirito di dedizione di quegli eroi è lo stesso degli operatori sanitari che rischiando la vita, cercano di salvare i nostri anziani, giovani e famiglie.
Noi tutti dobbiamo essere orgogliosi delle nostre Forze Armate e del nostro Sistema Sanitario, che nonostante i tagli che ha dovuto subire da tutti i governi da almeno una decina d’anni, è composto da persone dedite al lavoro, da giovani incuranti dei pericoli che corrono e da giovani professionisti che allo stesso modo dei “ragazzi del '99”, ci porteranno certamente e ancora una volta alla vittoria, alla sopravvivenza della nostra nazione, della nostra popolazione e del nostro Stato.
Ho scelto una poesia che ci può far meditare: Di che reggimento siete Fratelli? Parola tremante Nella notte Foglia appena nata Nell’aria spasimante Involontaria rivolta Dell’uomo presente alla sua Fragilità Fratelli Giuseppe Ungaretti, (Mariano nel Carso, 15 luglio 1916), Vita d’un uomo, Mondadori.

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