Il fuoco dentro
- Redazione
- 5 giorni fa
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di Ilaria Telesca
Tiriamo le somme sul cosiddetto “weekend lungo”.
Abbiamo tante riflessioni da fare su questi giorni di fuoco, ma cominciamo dalla fine.
Abbiamo perso di vista il problema.
Tutti, incondizionatamente.
La polarizzazione è stata la protagonista di un dibattito divisivo, che ha costretto una battaglia (politica, sociale, umana) a diventare uno scontro tra tifoserie, tra pro-Flotilla e pro-Meloni.
Nulla di tutto questo è stato necessario.
Avremmo dovuto approfittare di un momento in cui un conflitto quasi secolare finalmente occupava non solo le prime pagine dei giornali, i profili social più e meno seguiti, i servizi dei telegiornali nazionali, ma che finalmente ha anche smosso una coscienza considerevole in tutto il mondo e specialmente nei nostri confini.
Se solo si fosse accorta di avere uno scopo comune, l’Italia avrebbe dimostrato come si comporta una Superpotenza degna di questo nome.
Perché, in realtà, quasi tutti hanno fatto la cosa giusta.
Il popolo ha riempito le piazze e lo ha fatto – forse - con consapevolezza. Ha compreso che in quel pezzetto di Medio Oriente si sta consumando un genocidio, una tragedia, che ogni azione compiuta dallo Stato Israeliano è spietata. Che negli anni c’è stata una vera e propria invasione e che sono morte decine di migliaia di civili, la maggior parte donne e bambini. E magari si è reso conto di essere stato in silenzio per troppo tempo.
Almeno abbiamo tutti preso coscienza – di nuovo, “forse” - di subire una costante disinformazione, tipicamente occidentale, che ci costringe ad annichilirci e a credere all’esistenza di alcune sole guerre, quelle “comode”.
[Spoiler: mentre – giustamente – ci preoccupiamo di ciò che succede a Gaza, nel mondo si stanno consumando decine di conflitti, di cui sarebbe opportuno essere a conoscenza e per i quali sarebbe altrettanto giusto ribellarsi prima che si raggiungano gli stessi apici di disumanità.]
D’altro canto, tornando alla questione, il Governo ha fatto il suo. Si è distinto in Europa per la consegna di aiuti tramite legittimi ed efficaci corridoi umanitari, ha evacuato centinaia di bambini e civili dalla Striscia, ha tutelato la Flotilla, prima scortandola con la Marina e poi facendo rientrare in sicurezza gli italiani che vi hanno partecipato attivamente.
Ma parliamone, di questa Flotilla.
Partirei dal presupposto che, in linea di principio, chiunque si alzi dal proprio divano di casa, rinunciando alla vita comoda, e scenda in campo attivamente abbia il diritto di dire la propria forse più degli altri, anche solo per quel pizzico di coraggio in più: linea di principio che vale in ogni campo, dalle elezioni politiche alle missioni umanitarie.
Non si mette in discussione la dignità di chi “imbraccia le armi” (adesso in senso figurato) e affronta un’avventura in cui, effettivamente, si rischia.
Ciò premesso, è stato tutto sbagliato. Dai volti che hanno rappresentato la missione - vedi un Tommasi o una Thunberg che, a prescindere dall’impatto dell’azione, era ovvio che avrebbero reso scettica gran parte dell’opinione pubblica, rendendo così volutamente parziale la sensibilizzazione - alla politicizzazione della missione stessa, che l’ha resa un pretesto per fare campagna elettorale col fine ultimo di chiedere le semplici dimissioni del Governo.
Cosa ricorderemo della Flotilla?
Di certo non l’aiuto che questa ha dato alla causa palestinese perché, checché se ne dica, non è stata la Flotilla a creare speranze di pace in un territorio martoriato, così come non è stata la Flotilla a scuotere le coscienze e a riempire le piazze.
Sarebbe offensivo se così fosse, perché di certo la decennale drammatica situazione in Palestina basta da sola a far ribollire gli animi.
La missione sarebbe diventata un’azione davvero europea, nel senso forse più puro del termine, se solo non avesse preso una svolta propagandistica così spicciola, prettamente mediatica e, conseguentemente, controproducente.
È ridicolo lasciare che in Italia il paladino della giustizia diventi un personaggio come Landini, emblema di un’ipocrita borghesia per la quale gli idranti nei cortei CGIL no, però sui lavoratori nelle manifestazioni contro il green pass allora sì.
Una borghesia che in ogni contesto prende la palla al balzo e si mette a capo di una mobilitazione popolare facendo credere che ne sia rappresentazione. E spesso - forse anche in questo caso - la plasma a suo piacimento, indirizzando slogan e fervore verso una certa direzione, allontanando così anche i più puri d’animo dalla lotta reale e banalizzando la stessa lotta a “se toccano la Flotilla bruciamo tutto”.
Noi non abbiamo mai creduto all’ingannevole bontà della borghesia, che lascia soli i lavoratori e poi si intesta battaglie che non le competono.
E a proposito di porti, è a Genova che abbiamo assistito alla più forte forma di rivolta messa in campo in questi giorni.
La mobilitazione del 27 settembre, partita proprio dai portuali, ha costretto la nave della compagnia israeliana ZIM a interrompere l’operazione di carico di 10 container con materiali esplosivi diretti a Israele. Si sono alzate le barricate, in modo non solo figurato, ma anche letterale.
È stato un momento intenso per tutti, un’azione che non ha diviso ma unito, perché quell’atto di ribellione è stato una prova di forza diretta proprio al nemico.
Ed è proprio questo ciò che abbiamo perso di vista nella polarizzazione della lotta: il nemico.
Quel nemico sionista fin troppo radicato e che, in quello spicchio di terra, devasta case, scuole, ospedali, uccide migliaia di civili innocenti e affama i sopravvissuti. Quel sionismo che mette in campo un genocidio negli anni dimenticato, ignorato, nascosto. Che continua a massacrare gente stanca e indifesa, anche in queste ore.
Quel sionismo che abbiamo sempre combattuto, in solidarietà con il popolo palestinese, con la sua autodeterminazione e con il suo diritto ad avere una Patria e un’identità.
Una nota del Comitato Nazionale ANPI del 19 gennaio 2024, circa tre mesi dopo il fatidico 7 ottobre, diceva testualmente: “È un errore gravissimo mettere sullo stesso piano la Shoah e altre, pur terrificanti, vicende di oggi.”
Noi non siamo d’accordo. La nostra storia si fonda su valori diversi.
Un manifesto del Fronte della Gioventù del 15 gennaio 1988 chiedeva sanzioni e isolamento politico contro la repressione israeliana. Noi siamo questo e continueremo ad esserlo.
Non esistono genocidi di serie A e di serie B. Qualsiasi guerra in cui c’è un oppressore ci troverà dalla parte dell’oppresso.
Ben vengano le piazze piene, lode alle mobilitazioni popolari, perché in fondo hanno sempre uno scopo sociale e comune. Bisogna solo che non vengano strumentalizzate, non vengano deviate ma che, al contrario, siano spinte da un’ideale.
Continuiamo a fare pressioni, senza farne questioni propagandistiche, senza accontentarci di 20 punti che annientano l’autodeterminazione di un popolo e permettono a ingerenze oltreoceano - ancora una volta - di scegliere il destino dei popoli.
Chiediamo la pace, ma una pace consapevole e che renda giustizia al popolo di Gaza.
Palestina libera, sempre, contro il potere sionista di Israele.

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