Il Milite Ignoto 1921 - 2020
- Redazione
- 19 mar 2020
- Tempo di lettura: 5 min
di Claudio Usai
Bergamo: due fotografie strazianti da scena di guerra, mi hanno fatto venire in mente le vecchie struggenti immagini della fine della Guerra “15-18”, riferite alla scelta della salma che avrebbe rappresentato il Milite Ignoto in nome di tutti i caduti per la maggior parte non riconoscibili. Nelle immagini che si trovano in rete, la prima, rappresenta una lunga fila di bare poggiate dentro il Duomo di Bergamo che non è più in grado di ospitare i deceduti; nella seconda una lunga colonna di camion militari fermi vicini al cimitero della città. L’esercito ha trasportato i feretri dal camposanto di Bergamo fino ai forni crematori di altre Regioni; perché la camera mortuaria a Bergamo non è in grado di accogliere le salme uccise dal coronavirus. Anche il forno crematorio non è più in grado di compiere il suo ingrato lavoro. Bergamo è finora la provincia più colpita nel Paese: centinaia di caduti, vecchi e giovani, medici e infermieri, eroi italiani di una guerra terribile. Le vittime del morbo vengono trasportate in primis in Emilia Romagna, in un triste e silenzioso viaggio; ciò ci riporta alla mente un altro terribile itinerario, quello che fece il Milite Ignoto, del quale voglio ricordare la storia ed invocare la memoria di quei tremendi giorni, così simili a quelli odierni.
Il primo ricordo è quello di un cimitero di guerra nel 1921, quasi cento anni fa, uno dei tanti sparsi nel Nord Italia. Segnano le sepolture cannoni rivolti verso il cielo, lamiere ritorte, ruote arrugginiti, motori di aerei abbattuti e tanti altri cimeli. La Grande Guerra è finita da soli 3 anni; uno degli eventi più drammatici del ‘900 che tra le sue tante vittime ha visto un altissimo numero di soldati rimasti senza nome, come senza nome per molti di noi rimarranno le vittime di Bergamo.
Nasce proprio nel 1921 l’idea di onorare tutti i caduti provenienti da tutte le regioni d’Italia, con i resti simbolici di un solo combattente anonimo; con i resti di un corpo che non è stato identificato e che non lo sarà mai. In Italia l’idea di onorare in questo modo gli oltre 600000 caduti della Grande Guerra è del Colonnello Giulio Dué che scrisse nel 1920 sul periodico Dovere: «Tutto sopportò e vinse il nostro soldato, perciò al soldato bisogna conferire il suo onore quello che nessuno dei suoi condottieri può aspirare, neppure nei suoi più folli suoni di ambizione. Nel Pantheon deve trovare la sua degna tomba alla stessa altezza dei re e dal genio».
L’idea di Dué fu accolta con entusiasmo, ma esiste un altro luogo atto ad ospitare la salma del Milite.
È il complesso del Vittoriano di Roma, il monumento commissionato per celebrare l’Unità nazionale. È quello il luogo ideale per onorare il sacrificio di tutta l’Italia negli anni del Primo Conflitto Mondiale.
Nel Vittoriano il ricordo dei caduti avrebbe trovato così nel monumento al milite ignoto la sua espressione più alta e avrebbe assunto il ruolo di tempio nazionale; la salma sarà posto sotto la Dea Roma. Il 21 Giugno 1921 tramite decreto lo Stato s’impegnò a rende gli onori più solenni ad un soldato senza nome.
Nell’agosto si diede avvio alla ricerca per rintracciare caduti ignoti di tutte le Regioni, nei luoghi in cui si era combattuto dal Carso agli altipiani, dalle foci del Piave al Montello, scegliendo poi il corpo che sarebbe stato tumulato al Vittoriano.
Il 4 novembre 1921, anniversario della Vittoria si sarebbe celebrata una cerimonia solenne.
Vennero selezionate 23 salme poste in altrettante bare tutte uguali, simbolo di tutte le contrade italiane (comprese Istria, Fiume e Dalmazia), trasferite poi da Gorizia nella Basilica di Aquileia. A indicare quale di quei 23 corpi avrebbe rappresentato il sacrificio di tutti i caduti, venne chiamata una donna di Trieste, Maria Bergamas; suo figlio Antonio di leva nell’esercito austriaco aveva disertato per andare a combattere con gli italiani, che risultava disperso in battaglia sul Monte Cimone e il suo corpo non era stato mai identificato.
Il giorno della commemorazione la donna entrò nella Basilica, mentre all’esterno attendeva una folla silenziosa e commossa. In quel momento ci fu un silenzio surreale. La madre sfilò lentamente davanti alle bare allineate nella navata centrale. Si fermò davanti ad una, con decisione, senza proferire parola. Quello che accadde nei giorni seguenti fu incredibile. La cerimonia del trasporto della salma del Milite Ignoto risulta ai cronisti dell’epoca «La più grande dimostrazione patriottica corale che l’Italia unitaria abbia mai visto» e che mai vedrà almeno fino ad oggi, poiché gli italiani chiusi in casa per l’epidemia sono usciti nei balconi per cantare l’inno nazionale e sventolare il Tricolore.
Ma torniamo al 1921: dopo il gesto di Maria Bergamas la bara venne collocata sull’affusto di un cannone, lo trainavano carri addobbati a lutto. Un corteo di caduti, reduci e madri giunti da tutta Italia la seguì fino alla stazione ferroviaria di Aquileia, dove fu posta su un vagone.
La mattina dopo in un bagno di folla il treno si mosse, viaggiando lentamente per 4 giorni, sulla linea Aquileia, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, e di nuovo Roma, per unire tutta Italia. 1000 km tra due ali di gente. Fu uno spettacolo straordinario, soprattutto spontaneo, espresso da persone di tutti i ceti sociali che parteciparono ognuno a proprio modo: in ginocchio, in silenzio, con l’espressione del dolore, sventolando vessilli e bandiere italiane, oppure lanciando fiori, montagne di fiori. Il treno di fermò in quasi tutte le stazioni che incontrava e la scena era sempre la stessa: la folla lo circondava, molti volevano salire sul vagone per toccare il feretro, perché molti avevano avuto in casa figli e mariti che non tornarono.
In tutti c’era il desiderio di stare vicini, come sui balconi oggi, di sentirsi parte di una sola Nazione.
Quelle persone compivano un gesto del tutto genuino, come coloro che intonano oggi l’inno nazionale.
Era ancora vivo in tutti il ricordo degli ultimi 70 anni e delle 4 guerre combattute per ottenere l’unità e l’indipendenza. Telegrammi e corone giunsero da tutti i punti del mondo, dal Brasile agli Stati Uniti, mentre ovunque in Italia si tenevano cerimonie religiose.
Sul quotidiano la Tribuna del 5 novembre si leggeva: «Oseremo dire che per la prima volta, dopo molti anni, in quelle sante reliquie, ma soprattutto in quella massa organica di uomini e donne, in quei mille e mille vessilli di una sola fede, il popolo ha sentito vivere una cosa della quale si era quasi scordato o s’era ricordato solo per irriderla, ha riconosciuto lo Stato, incredibile a dirsi, ha applaudito allo Stato».
Il pensiero va agli eroi italiani che combattono quotidianamente la guerra del coronavirus e a coloro che sono morti, perché meriterebbero un riconoscimento, un monumento, una celebrazione alla fine di questa nuova guerra, come se la meritò il milite ignoto, a nome di tutti caduti della Grande Guerra.

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