di Gabriele Pannofino
Sulla scuola si addensano nuvole minacciose e ciò vuol dire che in città piove già da un pezzo.
Varese. Pochi minuti alle otto del 5 febbraio. Uno studente diciassettenne colpisce ripetutamente con il suo coltello la professoressa dell’Enaip (Istituto professionale) della città: non è un evento senza precedenti.
Abbiategrasso. Lo scorso 29 maggio. Uno studente, questa volta sedicenne, pugnale alla mano, ferisce alle spalle la professoressa di storia, ad un passo dal suo banco.
Infine Taranto. Il gesto è ancora più eclatante, perché a compierlo non è stato uno studente, ma due genitori, purché siano degni d'essere chiamati tali.
31 gennaio. Il preside Marco Cesari viene aggredito ferocemente dal padre e dalla madre di una bambina della scuola Europa-Alighieri. Ne esce con evidenti escoriazioni su mani e viso: sembra quasi che sia stato più fortunato delle due professoresse sopracitate.
Non ci interessa sapere cosa ha scatenato queste reazioni, è superfluo.
Abbiamo capito che la violenza che infesta scuole e società non ha sesso, né età, nè tantomeno preferenze geografiche.
E’ la violenza che nasce dal disagio nichilista in cui è immersa la società attuale: la società che ha avuto l’ardire di uccidere di Dio ma non è stata capace di preservare l’uomo da questo cataclisma. Forse l’Uomo non è ancora pronto, forse non lo sarà mai.
Una volta morto Dio è morto il “Padre”, si spegne l’anima della famiglia, il nucleo educativo originario: la crisi del sistema scolastico viene da sé, per non parlare dello smarrimento del “politico”.
Giovanni Colombo, coordinatore di Enaip Lombardia, ha insistito sulla centralità del ruolo della famiglia, l’attore sociale che deve accompagnare i giovani una volta suonata la campanella.
Ma quanto può la famiglia in un mondo in cui l’adulto si è coscientemente deresponsabilizzato? Di fatto ci sono famiglie in cui la responsabilità dell’educazione è ricaduta sull’educato stesso, il ragazzo, che si barcamena tra modelli di fortuna.
E anche che il genitore volesse impegnarsi nell’educazione, niente potrebbe insegnare davanti alle rovine di ogni certezza teologica e morale.
E’ una crisi a cui non possiamo fare più fronte perché la dimensione politica è stata divorata dalla dimensione economica: l’economia ci vuole consumatori perfettamente anonimi e “liberi” (è una società la nostra, che abusa di ammonimenti terroristici al patriarcato, proprio perché strumento atto tutt’oggi a creare un’identità anticonsumistica), la politica procede imbelle.
Ogni identità prevede un soggiogarsi ad un ideale, un raccogliersi intorno al pater: abbiamo combattuto con forza le identità perché foriere di conflitto, ora ci dobbiamo preparare alle conseguenze, violenza interna alla comunità inclusa.
Via il padre dalla casa, i fratelli non abbiano timore alcuno della pena! Dio non esiste, tutto è permesso.
Se c’è una via di uscita al ginepraio nichilista, un rimedio all’ondata di insubordinazione autodistruttiva che ci investe, questa è riscoprire il valore dell’eroismo. Eroismo per tutti, genitori e ragazzi.
Eroismo che non è fallace superomismo, ma coscienza attiva della propria umanità, della propria cittadinanza.
Davanti ai nostri tempi è necessario essere eroici, sentirsi un po’ come Ettore presso le Porte Scee, che pur consapevole del suo destino, decide di votarsi tutto alla difesa di Troia: Ettore che è consapevole della sua mortalità, come noi lo siamo dei nostri limiti filosofici, ma che non per questo si astiene dal combattimento. Non un attimo di esitazione.
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