di Mattia Ferrarese
Una mente fulgida e folle, lussuriosa e al tempo stesso devota alla sacralità del rito e alle litanie delle gerarchie sociali, eventi e imprese, autodevastazione e depressione: questo e molto altro fu Gabriele D'Annunzio, il Vate.
Non basterebbero enciclopedie intere per racchiudere aneddoti, invenzioni e gesta di un uomo che preferiva la mente alla carne, senza mai rinunciare ai piaceri e ai vizi di quest'ultima.
Poesia, prosa e allitterazioni in un calderone di fantasia esplosiva e provocatoria, nella conservazione dello spirito e mai nell'avidità delle esoteriche emozioni da destinare a profusione ad amanti ed animali che lo accompagnarono in un inaspettato viaggio lungo una vita intera.
Ancora brillante condottiero di un utopico sogno in un'impresa Fiumana libera ed indipendente, troppo innovativa e all'avanguardia per non subire le ire ed i timori di un'Italia già allora suddita di ingerenze esterne.
D'Annunzio fu anche principe di Montenevoso ed improvvisato propagandista nel volo su Vienna, dove combattere non sarebbe bastato per guadagnare l'amore di una Patria indomita ed immarcescibile: il Tricolore Italiano prima di tutto, inseguito da una simbologia raccolta dai lasciti della storia e da tramandare nel risveglio di tutti gli spiriti assopiti di fine '800.
Insomma, fu tutto ed il contrario di tutto nella paradossale spirale di un esempio non sempre moralmente invidiabile ed in continua lotta con la propria cognizione di sè e degli altri.
Un dente cariato da ricoprire d'oro, per un ventennio che ne ereditò idee e concetti, ma che mai lo riconobbe in tutte le sue indispensabili qualità troppo pericolose per un mondo incapace di stare al suo passo: in politica passò dalla destra alla sinistra in controtendenza e nella più gravida delle provocazioni contro un mondo troppo borghese e noioso di inizio secolo.
L'oblio a cui venne relegato, si è trascinato fino ai giorni nostri, dove nelle scuole si parla sempre troppo poco ed ancora anonimamente di uno dei più grandi pensatori della nostra epoca, senza i dovuti onori e celando un velo di pietà e superiorità tra battutine goliardiche ed abitudini malsane, probabilmente frutto di indicibili leggende metropolitane: rivalutare e ripulire il nome di D'Annunzio è un dovere per l'Italia del domani che ancora deve molto al proprio passato.
Osannato nelle piazze e riservato studioso indebitato in quel Vittoriale degli Italiani carico di significati e di simboli in ogni suo più recondito angolo, ancora oggi eredità di inestimabile valore culturale, esempio per molti e faro per chiunque: granitico, architettonicamente impensabile e sacro vessillo di una Patria che pare ormai sbiadita e macchiata dall'incessante cedere degli anni e dallo svuotamento valoriale di cui siamo figli.
Comprendere la figura del Vate sarebbe importante per permettere un risvolto sociologico indispensabile ai nuovi cardini identitari di cui l'Europa intera potrebbe beneficiare, in fede a quella questione Mediterranea di cui la passione è motore e l'ingegno è chassis, sinergicamente fusi per potersi muovere in nuovi contesti trasversali, lontani da stringenti logiche politiche di contrapposizione tra destra e sinistra: riconoscere processi virtuosi e nuovi eroi potrebbe far tornare lo spirito d'orgoglio che non ci lascerebbe soccombere nelle macerie del crollo dei templi, volando ancora e ancora su uno SVA10 di un leone che sempre ruggisce.
Non tanto ormai leggere, che a molti sembra desueto, ma almeno investire pochi minuti ad ascoltare le audio-letture di alcuni testi che potrebbero aprirvi occhi e cuore: a volte portata principale, altre esaltatore di sapori, D'Annunzio si divide in un eterno conflitto apollineo e dionisiaco, quasi come una trattoria ed un ristorante gourmet stellato, capace di soddisfare ogni tasca e palato.
Vivere concedendosi agli altri con imprese, parole, gesti e gesta: "Io ho quel che ho donato" resta il motto più rappresentativo per una figura poliedrica e kaleidoscopica capace di percorrere il proprio tempo ed anticiparlo, qualità ormai a noi sconosciuta.
Siate quello che donate.
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