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INDRO MONTANELLI: IL LIBERAL CONSERVATORE ANTE LITTERAM

Di Piergiorgio Laguardia


Sono già trascorsi 22 anni dalla morte di uno dei più autorevoli esponenti del pensiero conservatore e liberale italiano, Indro Montanelli.

Ma il suo pensiero e le sue opere ancora oggi rimangono delle bussole per orientarsi, senza rimanere soffocati da eccessivi afflati ideologici, nei meandri della storia d’Italia, degli italiani, della politica e nelle angolature istituzionali meno esplorate.

Scoprii Indro Montanelli postumo e, pur non aderendo allora nè al pensiero conservatore nè al pensiero liberale, rimasi subito stupito dalla sua capacità di discettazione dell’analisi storica e politica italiana utilizzando il giusto distacco che ogni vero intellettuale, giornalista e storico deve utilizzare per non operare  una rappresentazione parziale e distorta dei fatti.

Lo stesso distacco che lo accomuna ad uno dei più influenti, decisivi  e controversi -nel bene e nel male- protagonisti della scena politica italiana, Giulio Andreotti, da lui segretamente ammirato e frequentato quasi in amicizia.

Lo accomunava invece alla destra nazionale missina il suo “non rinnegare non restaurare”: Montanelli infatti in gioventù fece parte di quella schiera di intellettuali di estrazione liberale che avevano aderito al fascismo.

Montanelli partecipò alla spedizione in Etiopia, salvo poi pentirsene e qualche anno dopo essere perseguitato ed incarcerato, ma, a differenza di alcuni comunisti che aderirono in gioventù ai Guf, non rinnegó mai le sue azioni.

A rendere avvincenti ed interessanti le sue analisi fu anche il suo geniale utilizzo dell’ironia, molto pungente e longanesiano, nel descrivere gli italiani: “Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno”.


Montanelli ebbe anche il grande merito di aver fondato, almeno a livello culturale, quella destra legalitaria che alla fine degli anni 80 nell’Msi stava portando avanti fino a candidare Paolo Borsellino alla presidenza della Repubblica.

A proposito del quale Montanelli ebbe la colpa di non comprendere subito il risvolto Rivoluzionario dell’opera di Borsellino e Falcone di ripulire la Sicilia dal cancro mafioso, ma di cui fu in grado di comprendere  il rapporto armonico tra individuo e comunità, le derive e degenerazioni sessantottine, che stroncó in modo eccessivamente assolutistico, dicendo che il 68 aveva prodotto solamente una massa di analfabeti, pur non risparmiando critiche alla precedente società arcaica e ripiegata su se stessa in cui lui era cresciuto.

Veneziani lo ha efficacemente descritto come un antitaliano arcitaliano.

Montanelli fu in tutta la sua vita un uomo libero ed un giornalista libero, il cui solo padrone era il lettore: infatti quando Berlusconi, che nel 1977 aveva acquistato la società editoriale de Il Giornale, scese in politica Montanelli fu il primo a togliere il disturbo per preservare la sua libertà da strumentalizzazioni politiche.

Il resto è storia, fondó poi La Voce ed oggi i suoi successori, non eredi, tra cui Travaglio, Belpietro, Severgnini hanno intrapreso strade molto differenti.

Montanelli rimarrà un unicum a sè stante.

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