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Io ho quel che ho donato - Il Vate

Aggiornamento: 13 mar 2023

di Francesco di Giuseppe


Bisogna fare della propria vita come si fa un'opera d'arte. In pochi sono riusciti ad andare oltre il celebre motto e incarnarlo fino al midollo. Lui lo ha coniato, lui ci è riuscito. Perfettamente. Certo è che il giovanissimo Gabriele D’Annunzio ebbe molta fortuna, fin dalla nascita. In pochi sanno, infatti, che si sarebbe dovuto chiamare Rapagnetta, come suo nonno Camillo, come suo padre Francesco Paolo: un cognome capace di strioncare sul nascere la carriera di un Vate, se non che il padre, adottato dall'Antonio, zio per parte di madre, con le ricchezze ne ereditò anche il cognome D'Annunzio, il quale avrebbe dovuto, tuttavia, appaiarsi con Rapagnetta, trasformando il cognome in Rapagnetta-D'Annunzio; ma non si conosce un solo documento, né d'ufficio, né privato, in cui Francesco Paolo d'Annunzio figuri solo Rapagnetta. E unicamente il cognome d'Annunzio compare sul certificato di nascita di Gabriele. Ma la sua “fortuna” venne pareggiata da genialità assoluta, imprevedibile e senza precedenti, che solo il fanatismo dogmatico di certa sinistra ha potuto castrare per decenni, con omissioni e superficialità dal corretto insegnamento scolastico. Sia la vita artistica che personale fu intensissima. Ebbe moglie, figli e una rilevantissima quantità di relazioni, una da ricordare in particolare fu il sodalizio che instaurò con Eleonora Duse. Rapporto durante il quale videro la luce alcune delle sue opere migliori: Sogno di un mattino di primavera, La gioconda e La gloria. Terminata la relazione con la Duse, D’Annunzio comunque continuò a scrivere per il palcoscenico e per necessità economica, sempre in bilico come tutta la sua vita.

Straordinari anche i suoi romanzi tutti di grande successo ad esempio Il piacere, Il fuoco, Il trionfo della morte. Ma fu quando l’uomo di penna lasciò lo spazio al poeta soldato che i suoi versi divennero epica. Fu protagonista, testimone e cantore della epopea tragica dalla quale stava per essere travolto il vecchio continente: la prima guerra mondiale. Trasformò in azione quanto da lui sostenuto nelle fasi precedenti l’inizio del conflitto, con le arringhe interventiste. Fu un vero e proprio  asso nel portare a termine azioni di guerra veramente temerarie, quali l’episodio passato alla storia come la “Beffa di Buccari”. Operazione rischiosissima condotta con le motosiluranti tricolori ai danni del naviglio militare austriaco, di stanza nel porto di Buccari. L’impresa, oltre  il carattere militare in sé   ebbe un effetto galvanizzante in una opinione pubblica ancora prostrata dalla disfatta di Caporetto. O il lancio di volantini di propaganda lanciati su Vienna dall’aereo, con lo scopo di fiaccare l’animo belligerante dei viennesi. Partecipò poi, con la ferma semplicità del milite, alla bolgia dei sovvertimenti che attraversavano gli ordinamenti politici, economici e valoriali dei popoli europei, al ridisegnamento, spesso incongruo, dei confini che divisero popoli e sogni. E nuovamente si fece portavoce di un popolo, mirabilmente sintetizzato da D’Annunzio con un termine passato alla storia come “Vittoria mutilata”. Riprendere la città di Fiume come imperativo. Per 16 mesi, dal 12 settembre 1919 fino al tragico epilogo del cosiddetto “Natale di sangue”, D’Annunzio, capeggiando nazionalisti, futuristi, sindacalisti rivoluzionari, proclamò la Reggenza Italiana del Carnaro, che con la sua “carta” divenne uno dei primi esempi di democrazia diretta, di giustizia sociale e sindacale e molto altro che sapeva tanto di futuro. Previsioni normative che attingevano le fonti nell’Assemblea Ateniese. Una città, un microstato, nelle le mani alate di un poeta. Il sogno di libertà, innovazione, coraggio del Vate, fu stroncato solamente da Giolitti e dai sordi cannoneggiamenti della Marina Italiana. D’Annunzio, aquila e fulmine di un secolo turbolento, trovò il suo nido a Gardone Riviera dove fece costruire, partendo da alcuni palazzotti di una villa, una cittadella monumentale: il Vittoriale degli Italiani. La sua ultima dimora, il suo regalo alle future generazioni e che è oggi la casa-museo più visitata d’Italia. Incastonata in un itinerario di rara bellezza, con edifici, piazzette, corsi d’acqua, istallazioni, spazi espositivi, un anfiteatro all’aperto, una nave incastonata nel promontorio e il mausoleo del Poeta. Osannato e lusingato come tanti. Eterno e irraggiungibile come pochi.


Noi siamo d'un'altra Patria: crediamo negli Eroi.



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