Italia Potenza
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Di Tiziano Di Cara
Negli ultimi decenni, l'Italia ha visto una diminuzione della sua rilevanza internazionale,
principalmente a causa di politiche che sono state percepite come poco coraggiose e timorose.
Queste politiche hanno portato a una maggiore regolamentazione della vita quotidiana e a una
sorta di sudditanza rispetto a un ordinamento internazionale che non è più equo. Ma, con l'arrivo
del Governo Meloni, sembra che ci sia un tentativo di cambiare rotta, con un approccio più incisivo.
Tuttavia, questo cambiamento non è ancora sostanziale, poiché manca di quella "sfrontatezza"
pragmatica necessaria per affrontare le sfide moderne. Al fine di riportare l'Italia a essere quella
potenza che è stata in passato, è necessario adottare scelte audaci e innovative, che vadano oltre
la politica tradizionale e che siano il frutto di un pensiero creativo e non convenzionale. A livello
internazionale, è fondamentale prendere decisioni che pongano al primo posto l'interesse
nazionale, soprattutto in un contesto multipolare caratterizzato dalla presenza di potenze come
Stati Uniti, Russia e Cina. In questo scenario, stanno emergendo nuovi attori, come la Turchia, la
cui crescente influenza in Libia rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale. La Libia, con
i suoi giacimenti di petrolio e la sua posizione strategica, dovrebbe tornare a essere considerata
una "quarta sponda" per l'Italia nel Mediterraneo. Ciò non si tratta di un ritorno a pratiche
colonialiste, che la storia ha visto e condannato nel corso del XX° Secolo, ma piuttosto di un
processo strategico finalizzato a garantire alla nostra Nazione quella sicurezza e quella
rispettabilità necessarie per instaurare relazioni fiduciarie con i paesi africani, favorendo così
l’emergere di un ruolo più incisivo per l'Italia nel continente. L'idea centrale di questa strategia è
quella di non limitarsi a essere meri spettatori della geopolitica africana, ma di diventare i
protagonisti di una nuova visione di cooperazione, basata su partenariati solidi, equi e
reciprocamente vantaggiosi. Nel inseguire questo obiettivo, è fondamentale che l'Italia non si limiti
a intraprendere azioni superficiali o a replicare modelli di intervento obsoleti, ma che adotti delle
politiche che vanno a rispondere alle reali necessità di stabilità e sicurezza in Africa, rispettando al
contempo le sovranità nazionali. Ciò implica il dover intraprendere azioni che potrebbero risultare
scomode, anche se necessarie: per esempio, la creazione di missioni militari all'estero che non si
fondino esclusivamente su alleanze tradizionali come quelle all'interno della NATO o dell'ONU, ma
che siano regolate attraverso accordi bilaterali tra l'Italia e specifici stati africani. Queste missioni
non devono essere viste come una forma di neocolonialismo o di imposizione, ma come interventi
di sostegno e cooperazione. Le nostre forze armate dovrebbero essere impiegate non solo per
addestrare le forze locali, ma anche per combattere energicamente al loro fianco contro le minacce
dirette alla stabilità, come il terrorismo, la criminalità organizzata e il fenomeno tragico della tratta
di esseri umani. La lotta contro questi flagelli deve essere condotta con l'approccio di chi, oltre alla
difesa della propria sicurezza, si propone di sostenere i paesi africani nella costruzione di un futuro
autonomo e sicuro. Tuttavia, accanto a queste operazioni di 'bonifica' che puntano alla gestione
della sicurezza nell'immediato, l'Italia deve impegnarsi anche in una strategia di lungo periodo che
vada oltre la semplice gestione delle crisi. È imperativo che la nostra presenza non si limiti a un
intervento sporadico o ad una permanenza temporanea, ma che favorisca la creazione di un
tessuto sociale, economico e istituzionale in grado di garantire una stabilità duratura. Ciò significa
lavorare per il rafforzamento delle istituzioni locali, per il consolidamento delle democrazie
emergenti, e per lo sviluppo delle capacità di autogestirsi delle popolazioni locali. Una parte
fondamentale di questo processo riguarda la promozione di iniziative economiche che non sfruttino
la risorsa umana o naturale, ma che siano capaci di alimentare una crescita inclusiva e sostenibile.
In altre parole, gli investimenti italiani devono essere concepiti come parte di una strategia che
favorisca lo sviluppo di imprese autoctone e che crei opportunità economiche per le popolazioni
locali, piuttosto che favorire un modello di sfruttamento delle risorse africane per il solo beneficio
degli investitori stranieri. Al fine di evitare che questi investimenti si trasformino in una mera
campagna di acquisizioni che impoverisce e sfrutta le risorse locali, è fondamentale che siano
implementate politiche che promuovano una cooperazione commerciale e tecnologica che
favorisca un autentico scambio. In questo senso, l’Italia dovrebbe puntare a un modello di ‘win-
win’, dove entrambi i partner – l’Italia e i paesi africani – possano trarre vantaggio, non solo in
termini economici, ma anche in termini di trasferimento di competenze, sviluppo delle infrastrutture
e crescita delle risorse umane locali. Un impegno serio da parte dell’Italia potrebbe rappresentare
un'opportunità per l'intero continente africano, non solo per migliorare la qualità della vita dellepopolazioni locali, ma anche per dare all'Italia un'influenza più forte nelle dinamiche geopolitiche
internazionali, facendo leva su un'alleanza strategica che si basi sulla fiducia, sul rispetto e sulla
cooperazione. Al fine di ottenere il massimo dalla strategia esterna, è necessario se non imperativo
che l'Italia rimetta al centro dell'azione pubblica il benessere della popolazione come elemento
strutturale della potenza Nazionale. In quanto le maggiori potenze si poggiano sul benessere dei
cittadini: una popolazione produttiva, culturalmente coesa e sostenuta da un sistema efficiente è la
difesa immunitaria contro le crisi, nonché motore per una proiezione internazionale. Per questo si
deve lasciare la forma retorica del benessere e pensarlo come una leva strategica. E ciò può farsi
mediante misure strutturali e coraggiose, prima fra tutte una deregolamentazione di alcuni settori
economici. Come sappiamo l'Italia ha una burocrazia congestionante, che rallenta lo sviluppo
dell'iniziativa economica privata, frena lo sviluppo innovativo e rende l'Italia poco attraente per i
capitali stranieri. Realizzando una decongestione permette alla nostra Nazione di acquisire
attrattività di capitali stranieri, di liberare energie produttive e permettere la nascita di nuove
imprese, in modo tale da dare nuova linfa al tessuto economico nazionale. Ciò non vuol dire
realizzare una deregolamentazione senza controllo, ma una deregolamentazione intelligente, ossia
andando ad inserirla in una strategia di pianificazione industriale che vada ad analizzare ogni
singola area nazionale e valorizzare vocazioni locali in modo da integrarle in una visione
simmetrica, poiché non tutte le aree possono fare tutto. Questo studio permetterà la realizzazione
di una nuova geografia produttiva dove il Mezzogiorno torni ad essere protagonista tramite lo
sviluppo dei settori dell'agroalimentare e della logistica mediterranea, il Settentrione rafforzi il
tessuto industriale e manifatturiero nonché i suoi poli tecnologici; e per finire, le Isole Maggiori
assumano un ruolo centrale nelle strategie energetiche e di proiezione marina dell'Italia nel
mediterraneo. Tale visione necessita per la sua realizzazione di una importante opera di sviluppo
infrastrutturale, quali la realizzazione di porti con una maggiore profondità, collegamenti ferroviari
ad alta velocità per il trasporto di merci e di persone, collegamenti stradali integrati, ma soprattutto
una rete energetica efficiente e sostenibile. Il tutto fornirebbe all'Italia un sistema logistico
moderno, senza il quale si vedrebbe estromessa dalle maggiori rotte economiche quali l'euro-
asiatiche e le mediterranee, rendendo vana qualsiasi ambizione di potenza.
Ad esempio, sul fronte energetico l'Italia non potrà dipendere in eterno da forniture estere le quali
sono condizionate dall'equilibrio geopolitico globale, vedasi il caso della rifornitura del gas russo
che è stato sostituito da quello algerino e americano a fronte dell'invasione dell'Ucraina. Perciò si
deve puntare ad un autosufficienza energetica, che potrà essere garantita dallo sviluppo
dell'energia nucleare. La stessa che in molti paesi, quali la Francia, la Cina e la Corea del Sud,
stanno sviluppando perché garantisce produzione costante, bassissime emissioni, e persino
margini di esportazione. Oggi più che mai, rifiutare a priori e con motivazioni ideologiche tale fonte
di energia si traduce in un auto-esclusione dal futuro energetico globale, perciò serve che si
superino i vecchi blocchi ideologici che per decenni hanno paralizzato la nostra Nazione.
E se vogliamo che l'Italia torni ad avere quella voce forte dei consessi internazionali, serve una
nuova élite politica e culturale, che sia capace di pensare in termini di interesse nazionale e di
proiezione strategica.
Il ritorno alla grandezza non si improvvisa: si costruisce, passo dopo passo, attraverso scelte
lungimiranti. L’Italia ha tutte le carte per ritornare protagonista: una posizione geografica strategica,
un patrimonio culturale senza eguali, un popolo ingegnoso e creativo. Ma serve visione, serve
coraggio. Serve la volontà di essere all’altezza della propria eredità
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