Di Ilaria Telesca
Era il 16 marzo 1978 quando le Brigate Rosse bloccarono in via Fani l’auto di Aldo Moro, uccidendo ogni componente della sua scorta e rapendo, così, il Presidente della Democrazia Cristiana.
55 giorni dopo, il 9 maggio, una telefonata comunicò che il corpo di Moro si trovava in una Renault 4 rossa in via Caetani, equidistante dalla sede del PCI e da quella della DC.
Il cosiddetto “Caso Moro” è una delle pagine più controverse e buie della storia del nostro Paese, insieme alle vari stragi di Piazza Fontana, di Ustica, dell’Italicus e così via.
Il comune denominatore di tutte queste ultime è il periodo in cui esse avvennero.
Mentre nel mondo si soffriva la Guerra Fredda, in Italia questa situazione geopolitica si tramutò nei cosiddetti “Anni di Piombo”, caratterizzati dalla strategia della tensione messa in atto dal Partito di potere, la Democrazia Cristiana, per contrastare le parti politiche più estreme, contenere il fenomeno comunista e continuare, così, a governare seguendo alla lettera i dettami statunitensi ed ergendosi ad unico polo pacifista e rassicurante per il popolo italiano.
Tra stragi di Stato, rapimenti e omicidi, con la complicità della DC, della mafia e dei servizi segreti, quello di Moro è un esempio eclatante della necessità di eliminare sul nascere qualunque pedina che andava a modificare o minacciare il sistema, giustificando in quel caso la propria omertà con la cosiddetta "linea della fermezza".
Apriamo una parentesi sugli esecutori -di certo non mandanti- del rapimento e della conseguente uccisione di Moro.
Le Brigate Rosse furono un’organizzazione terroristica di estrema sinistra che aveva il compito di propagandare, nelle parole e nei fatti, la lotta armata per la rivoluzione comunista.
Le BR, così come i nuclei terroristici di estrema destra, furono dei burattini nelle mani di burattinai troppo potenti per essere sconfitti semplicemente dalle ideologie.
Fu facile per i servizi segreti, infatti, infiltrarsi in queste organizzazioni criminali e gestire i “giochi terroristici” in Italia.
Ciò ovviamente non giustifica le violente azioni che ragazzi e ragazze si ritrovarono a compiere, consapevoli e non, nei confronti di alte personalità dello Stato, ma vuole solo sottolineare che non basta additare le Brigate Rosse per risolvere la complessa questione.
Tante sono le ipotesi riguardo invece i mandanti del caso Moro.
Certo è che il cosiddetto “Compromesso storico”, ovvero l’apertura del Presidente della DC a Berlinguer e al suo Partito Comunista Italiano, non era stata ben visto dalle due Superpotenze che gestivano la geopolitica mondiale.
Da un lato, infatti, si pensa che ad uccidere Moro sia stata la CIA, su indicazione dell’ex Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, per le ovvie motivazioni secondo cui l’apertura ai comunisti avrebbe creato non pochi problemi all’egemonia liberale degli USA in Italia e in Europa.
Dall’altro si pensa che il leader della DC sia stato soppresso dal KGB, per evitare che destabilizzasse il sistema dell’URSS portando al governo l’euro-comunista Berlinguer.
Sono solo delle tesi, come tante altre; chiara, però, è la contrapposizione tra parole e fatti delle BR.
I loro comunicati parlavano chiaro: si colpì Aldo Moro perché rappresentazione di un sistema da dover distruggere, eppure proprio quando il Presidente democristiano prese consapevolezza dell’abbandono da parte dei suoi compagni di Partito, fu ucciso anziché liberato.
Insomma, teoricamente sarebbe stato più “utile alla causa” da vivo che da morto, perché avrebbe potuto smascherare tutti coloro che lo avevano tradito e che non avevano lottato per la sua liberazione; quegli stessi che lo propagandarono come pazzo, confuso e incosciente, sostenendo che non fosse “responsabile di quello che scrive” appena egli cominciò a far uscire dal “tribunale del popolo” delle BR delle accuse ben precise alle personalità più importanti del Governo democristiano.
Detto ciò, l’Italia ha sofferto e soffre tutt'ora dell'insabbiamento della verità, dell'omertosa azione politica e giudiziaria, delle eterne ambiguità, delle false scusanti davanti l'ovvietà dei fatti.
Quando ci lamentiamo della mancanza di fiducia del popolo nei confronti delle istituzioni non dobbiamo mai dimenticare quello che il nostro Paese ha vissuto, quegli anni bui in cui meno si sapeva meglio si stava, più si stava in silenzio più si sopravviveva.
Dalla storia si può solo imparare.
La nostra generazione non ha vissuto gli Anni di Piombo, ma dobbiamo studiarli e far crescere in noi un forte senso di rabbia che deve poi trasformarsi nella volontà e nella necessità di fare del bene, al popolo e alla Nazione.
La Guerra Fredda e tutte le conseguenze ad essa dovute, devono portarci a riflettere e a scegliere come comportarci riguardo la guerra che, invece, stiamo vivendo oggi.
La conclusione è e sarà sempre una sola: l'Europa deve essere forte e autonoma, ragion per cui non può e non deve essere suddita né degli Stati Uniti, né della Russia, né di qualsiasi altro Stato straniero che possa allontanare la comunità europea dalla politica e dalle sue istituzioni.
E, a loro volta, politica e istituzioni devono ritrovare la loro purezza e imparare da quegli sbagli del passato, per costruire un futuro di fiducia, trasparenza e verità.
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