Di Ilaria Patteri
A 150 km a nord-est da Kabul, alle pendici dell'Hindu Kush, lontano dagli agi della Zivilisation occidentale, si trova un luogo chiamato Panjshir, da decenni teatro di resistenza contro i più variegati invasori e testimone di un eroismo popolare quasi letterario.
Politicamente sotto il dominio afghano, la regione del Panjshirè abitata da un crogiolo di diverse etnie, di cui la principale è quella tagika.
La storia di questa valle è particolare se si considera la parcellizzazione del territorio in centinaia di villaggi tribali, valle che, nonostante ciò, trova sempre compattezza nei momenti di opposizione al nemico. In questo caso è il concetto di “Patria” a fare la differenza, sviluppatosi in un contesto in cui il rapporto con la terra è fondamentale, giacché la maggioranza degli abitanti è dedita ad attività di coltivazione. Ne deriva un legame quasi spirituale tra l'uomo e la terra, che sfocia in estrema tenacia quando si tratta di difendere quest'ultima.
La morfologia del territorio, ubicato sulle rive del fiume Panjshir e circondato da impenetrabili catene montuose che giungono ai 3mila metri di altitudine, è un grande vantaggio per i guerriglieri locali che, per esperienza della valle, hanno un margine tattico nettamente superiore a quello di un eventuale nemico.
In questa cornice geografica cresce umanamente e politicamente una figura che diventerà cruciale nella storia afghana, Ahmad Shah Massoud, chiamato poi “Leone del Panjshir”, protagonista indiscusso del carattere resistente della Regione.
La storia di Massoud è costellata dei principali avvenimenti che interessarono l’Afghanistan dagli anni ‘70 fino alla vigilia dell’Invasione Americana e segue come filo conduttore il desiderio di libertà e indipendenza nazionali del giovane militante, poi divenuto comandante, successivamente Ministro della Difesa e infine proclamato eroe nazionale.
Appena ventenne interiorizza le tensioni sociali e politiche presenti nel Paese -prigioniero di spinte marxiste, crescente fondamentalismo islamico e imitazione del Modello Occidentale-, tanto da spingerlo a organizzare le sue prime azioni di guerriglia urbana. Ma è il progressivo avanzamento del comunismo nella società afghana a condurlo ad abbracciare definitivamente la lotta politica e in seguito quella militare. Il suo carisma e il suo grado culturale gli consentono di imporsi come leader a gruppi di giovani suoi conterranei armati, con il comune desiderio di respingere l’incombente minaccia sovietica. Al momento dell’Invasione Ufficiale dell’URSS (1979) Massoud possiede un organico apparentemente scarno, costituito da volontari serviti di mezzi rudimentali, oltretutto scarsamente addestrati.
Ma è proprio lo spirito caparbio di questi guerriglieri, denominati “mujaheddin”, unito all’inoppugnabile abilità strategica di Massoud a determinare la clamorosa ritirata dei sovietici dal territorio afghano, dopo dieci inutili offensive inferte alla Valle del Panjshir. Il Panjshir diviene così roccaforte militare e culturale anticomunista, nonché meta d’attrazione per nuove leve da tutta la Nazione. Ormai popolare, Massoud partecipa al nuovo Governo nazionale da Ministro della Difesa, ma dovrà affrontare un nuovo avversario, stavolta interno: i talebani. Ricostituito e ampliato il suo esercito nell’Alleanza del Nord, riesce a vincere le milizie talebane con gli stessi schemi bellici adoperati contro i sovietici. Per i talebani è la prima grande disfatta militare.
Morirà in seguito a un attentato, il 9 settembre 2001, quando la sua personalità diverrà insostenibile per il galoppante radicalismo religioso, probabilmente per mano di due sicari di Al-Qaeda.
Proprio quel 9 settembre, precursore del ben più noto attentato terroristico, successivo di due giorni, contro le Torri Gemelle, eliminava dal Mondo l’uomo che ambiva a essere un ponte tra l’Occidente e le voci di libertà che giungessero da est, e con lui lo spiraglio di dialogo tra le due parti.
Nazionalista, conservatore, uomo di grande cultura e di studi prestigiosi, capace di uscire dalla comune grettitudine e rifiutare il modello religioso totalitario, in favore di una democrazia vocata alle radici culturali islamiche ma scevra di dogmi fideistici, Massoud, come ogni grande leader, deve fare i conti con il peso del suo retaggio.
Ad interim la causa è stata intestata al figlio, semplice epigono del padre, abile comunicatore, ma non stratega.
In assenza del suo Leone, il Panjshir ha avuto modo di subire, nell'arco di vent'anni, l'inganno dell'Invasione Americana e il disincanto della disastrosa Ritirata del 2021.
Due anni dopo, il Panjshir -come riportato da fonti interne- sembra ancora poter resistere, seppur con enorme fatica, alla prepotenza talebana tornata nel frattempo al governo di Kabul. Ed è proprio in questi ultimi anni che si è tornati a parlare di questa indomita regione, forse giudicata troppo remota per un serio interesse occidentale. Ma la peculiare attitudine di questo posto dovrebbe essere difesa almeno da chi professa valori identitari. Invece, in tutti questi anni, non si è mai registrato il tentativo di unirsi a sostegno di questa causa, come avvenuto alla fazione avversaria in Spagna durante la Guerra Civile. Non per forza si sarebbe auspicata la partecipazione di un contingente militare, ma quantomeno iniziative di raccolta e invio di beni primari, sorte che poi ha interessato la più vicina Ucraina.
Sarebbe ingiusto vanificare l’enorme sacrificio dei panjshiri, uomini-antidoto alla degenerazione dei costumi in senso antieroico, che conservano ancora oggi il senso di comunità, il rispetto per gli anziani e la fierezza di un popolo mai colonizzato.
In un Afghanistan fantasma, culturalmente disomogeneo -dove per tenere l'unità politica si è fatto ricorso all'instrumentum religioso, oppure al collante sociale per eccellenza, l'egualitarismo comunista-, il sogno di Massoud di una Nazione unita in una democrazia laica appare l'ambizione più ardua da un punto di vista "scientifico".
Infatti influenti analisti geopolitici concordano sull'impossibilità di guadagnare coesione sociale per un territorio martoriato da tribù in lotta tra loro, di cui i rispettivi obiettivi non coincidono. Eppure il Leone del Panjshir ha avuto la capacità di affascinare diverse generazioni, ha messo l'uomo occidentale davanti alla consapevolezza che l'epica può sopravvivere al di fuori dei poemi e ha costruito attorno a sé l'immagine dell'Eroe Moderno, in grado di sbeffeggiare la morale della pigrizia. Ma come ogni grande della Storia se ne va avvolto dalla solitudine.
Massoud lascia in eredità una lacerazione nelle coscienze di chi ha creduto in lui e non si è mobilitato, e dopo la sua morte permangono solo incertezze, da colmare con nostre, forse troppo occidentali, ma doverose riflessioni.
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