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Memorie dal Sottosuolo

Di Alessandro Parabita


Ti sei mai sentito così abbattuto dall’incessante susseguirsi dei tuoi pensieri e dal loro tono negativo da rifugiarti in un mausoleo ideale fatto di dolore, rabbia e nervosismo?

Ti sei sempre soffermato su ogni dettaglio di ogni cosa che ti è stata destinata da vivere, a tal punto da fuggire dal destino stesso?

Hai mai provato quello sconfinato senso di insoddisfazione verso chiunque ti circondasse e, allo stesso tempo, verso te stesso?

Ti sei mai trovato in quel limbo in cui, cieco di cuore, hai massacrato le tue budella in cerca di motivi senza nemmeno sapere per cosa?

O, più semplicemente, sei semplicemente disadattato a vivere?

Bene, ‘’Memorie dal sottosuolo’’ è qui per te.


Ma non per guidarti, no. E’ qui per farti sentire innanzitutto compreso.

Se riuscirai a trovare affinità con il c.d. ‘’uomo-topo’’, ti verrà la nausea per quanto riuscirai a rivederti nei suoi arrovellamenti, nelle sue nevrosi, nella sua anima al tempo sia marcia che tuttosommato contaminata da una bontà incompresa, o almeno questo è quanto è capitato a me.


Ma non è solo una nicchia in cui rifugiarsi per sguazzare nel brodo caldo dell’autocommiserazione.

O meglio, può anche esserlo se è questo che cerchi.


Sta a te decidere come interpretare l’impresa di leggerlo: puoi scegliere di farlo come l’Autore avrebbe voluto, ed imparare l’importante lezione in essa celata, o al contrario ignorare il monito di Dostoevskij e vestire definitivamente i panni del recluso. Con i suoi retropensieri, con la sua rabbia, con la sua incapacità di addentare ciò che la vita gli getta nel piatto, con le sue maestose certezze d’argilla, con la sua stabilità di pensiero e di sentimento simile a quella dei castelli di sabbia, e non di carte (‘che quelle almeno danno un’idea di pulito, no, di sabbia che bagnata si trasforma in quella fanghiglia ruvida e abrasiva che è un po’ la stessa che permea, dal didentro e dal difuori, il protagonista).


‘’Memorie dal sottosuolo’’ può essere tante cose, bello per chi empatizza con il rifugiato dello scantinato, brutto per chi invece è più come i suoi amici, o come Lisa, e non perché siano per forza questi cattivi personaggi, ma perché non sono semplicemente come il protagonista.

Attenzione, non è un modo per autocelebrarsi, perché nessun sano di mente lo farebbe se davvero si rispecchiasse nell’uomo-topo, o forse lo farebbe, no no forse no.. c’è da rifletterci ancora,

mi scuserete.


Dunque dicevo, la differenza tra i due giudizi sta non nel gusto ma nell’esistenza della persona che legge, è come se Dostoevskij avesse estratto l’esatta copia carbone di un uomo preciso e l’avesse trasmutata in lettere ed inchiostro, non ci sono sfumature, vi si distingue proprio la netta figura di un essere unico in quanto non replicabile da chi non gli assomiglia, particolare, che può essere riconosciuto soltanto da chi è fatto della stessa carne e che per chiunque altro invece non è che una persona spregevole, o comunque triste, e dal quale trarre soltanto una lezione sul come non-essere.


In giro ho trovato soltanto recensioni che parlavano del rinchiuso dagli occhi di tutti fuorché dei suoi, ed è per questo che ho deciso di scrivere la mia.

Mi hanno sempre affascinato le cause perse degli altri, magari perché mi aiutavano a non concentrarmi su quelle che perdevo io.

 

‘’Ma per l’appunto in questa fredda, abominevole mezza diperazione e mezza fede, in questo consapevole seppellire se stessi ancora vivi, per il gran dolore, nel sottosuolo per quarant’anni filati, in questa situazione senza scampo che ci i costruisce con tanta intensità e della quale si continua tuttavia sempre a dubitare un poco, in tutto questo veleno di desideri insoddisfatti e discesi perciò giù, in fondo all’animo, in tutta questa febbre d’esitazioni, di decisioni prese irrevocabilmente e di pentimenti che ciononostante sopraggiungono meno di un minuto dopo...’’

 


 
 
 

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