Di Ilaria Telesca
Fine maggio.
A Potenza, capoluogo della Basilicata, si respira aria di festa.
Il 30 maggio ricorre la festa del Patrono, San Gerardo, e la devozione anima i cuori di tutti i potentini.
Il popolo si riscopre comunità a partire dal 26 maggio, giorno in cui iniziano i festeggiamenti, e il senso di appartenenza riempie tutta la città.
La storia del Santo è tutt’oggi un insieme di verità e leggende.
Alcune ricostruzioni storiche sostengono che San Gerardo sia sceso a Potenza per fermare l’avanzata dei catari, un gruppo di eretici che propagandavano una propria dottrina; nelle città in cui si “sistemavano”, essi predicavano, spesso con una certa violenza, l’utopia di un mondo anarchico senza leggi, denaro e distinzioni. Durante il Medioevo arrivarono anche a Potenza, considerata già allora un centro culturale strategico, per attuare la loro devastante rivoluzione.
San Gerardo fu mandato dal Papa per porvi rimedio e riuscì a riavvicinare il popolo potentino alla Fede e alla Carità.
Secondo una leggenda, invece, durante il Medioevo il Santo Patrono riuscì a scacciare i Turchi che giunsero a Potenza per conquistarla risalendo dal Fiume Basento, e lo fece invocando una schiera di angeli che avrebbero liberato la città dagli invasori.
Questa dei Turchi è una leggenda postuma, aggiunta in un periodo di forte tensione tra Europa e mondo arabo: i Potentini avrebbero sentito così forte l’emozione per la vittoria di Vienna del 1683 sui Musulmani da ricordare qualcosa nella festa del Patrono, il quale così divenne nella memoria collettiva il salvatore della città dalle orde turche.
San Gerardo ha speso la sua permanenza a Potenza aprendo le braccia ai giovani e condividendo con loro tutti i suoi saperi, ha insegnato al popolo potentino e lucano l’importanza dell’istruzione e della cultura e che tutti, soprattutto le giovani generazioni, hanno il diritto alla conoscenza e alla partecipazione attiva alla vita sociale.
Il giorno precedente al 30 maggio si svolge a Potenza la caratteristica “Parata dei Turchi”, una manifestazione che riprende le tradizioni più importanti della città.
All’inizio della Parata troviamo la iàccara.
La iaccara è un’antica tradizione potentina, propria dei popolani dell’Ottocento, tipica delle celebrazioni in onore del Santo.
Da poco più di un decennio, un gruppo di rievocatori del capoluogo lucano ha riscoperto questa tradizione, di cui vi è traccia storica in un libro di Raffaele Riviello del 1893 sulle usanze del popolo potentino.
Proprio il Riviello, nel suo libro, scrive che in passato il giorno della vigilia nel tardo pomeriggio, accompagnate da bande e tamburi, venivano portate in città le iaccare, descritte come grandi fiaccole il cui trasporto era una vera e propria festa, tra grida, canti e balli.
La iaccara è, infatti, un grosso fascio di cannucce legate attorno a un palo di castagno che raggiunge la lunghezza di 12 metri e un peso di una tonnellata.
Il 29 maggio (“la sera della vigilia”) viene portata in spalla in processione dagli “iaccàri” fino all’antica Piazza del Sedile, dove viene issata, scalata e incendiata in onore del Santo.
Essa è frutto di sacrificio e impegno: i Portatori della iaccara cominciano a costruirla nei mesi precedenti, raccolgono le canne, le puliscono con dei coltelli in modo tale da renderle lisce e levigate e, infine, le legano insieme.
La iaccara viene poi adornata con delle ginestre e su di essa viene posizionata un’effige benedetta del Santo; la Benedizione avviene proprio il giorno della Parata, nella Piazza dove la iaccara ha sostato ed è stata visitata dai potentini nelle tre serate precedenti.
I Portatori della iaccara indossano un abito storico dei popolani ottocenteschi; una forte devozione li accompagna per tutto il tragitto e si danno forza con inni e canti al Santo per non avvertire il peso e la fatica.
Sono accompagnati dalle iaccarine, le donne che lungo tutto il tragitto seguono la iaccara e, ad ogni fermata, sostengono i portatori dando loro cibi e bevande tipici lucani.
Sulla iaccara viene trasportato a cavalcioni una figura buffa che incita i Portatori, corrispondente a Sarachella, la maschera carnevalesca potentina.
Le operazioni di trasporto e innalzamento vengono dirette da un Capo iaccara.
Una volta issata, la iaccara viene scalata da uno dei Portatori che con una torcia la accende in onore di San Gerardo.
Nell’antichità, attraverso la fiamma, si richiedeva una purificazione dei malanni ed un prosperoso raccolto estivo.
La iaccara, quindi, può essere intesa come un grande cero votivo che i popolani più devoti fabbricavano, trasportavano e bruciavano per chiedere al Santo aiuto e protezione.
La iaccara è un vero e proprio sacrificio. Ogni anno i portatori partecipano alla Parata non come semplici figuranti, non si fermano alla recitazione: portano sulle spalle il peso della Tradizione, quel fascio di canne da una tonnellata per pura e concreta devozione a San Gerardo.
Arrivano in piazza stanchi, distrutti, ma felici di aver compiuto un gesto di riappropriazione dei valori.
La Tradizione della iaccara, la devozione al Santo e la gioia con cui si festeggia ci permettono di capire quanto importante sia l’identità di ogni comunità e quanto impossibile sia distruggere l’amore che si prova per la propria Terra.
I costumi e le usanze di ogni popolo sono da custodire giorno dopo giorno, i simboli tradizionali sono da proteggere dall’alienazione del mondo moderno che ci vorrebbe tutti uguali e senza alcuna peculiarità culturale.
L’identità è la forza di ogni comunità.
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