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Maria Vittoria Giglio

La giustizia secondo me

di Maria Vittoria Giglio


“Giustizia” dal latino -Iustitia-, derivato da -iustus-, “giusto”. La parola ha un ulteriore vocabolo al suo interno, egualmente derivante dall’aggettivo succitato: “ius”, che si traduce con “diritto”. Di conseguenza, almeno nel campo semantico, il diritto è la condizione senza la quale la giustizia non potrebbe esistere.


E quando il fenomeno (diritto) non esisteva? Tornando allo slancio aristotelico “è nata prima la gallina o l’uovo?”, quale dei due aspetti necessita di una maggiore riflessione filosofica, in quanto più veterana? Nel lavoro che seguirà non vi sarà alcuna pretesa nel cercare di rispondere a domande ataviche, nate cresciute, più specificamente, sviluppatesi con l’evolversi della società. Infatti, sarà proprio dal “zoòn politikòn” che avrà inizio la disquisizione. Big Bang, formazione esseri viventi, natura, dinosauri, scimmia, australopiteco, poi, d’improvviso “homo”. Appurate le superiori qualità intellettive degli “homines” rispetto alle altre creature, naturalmente questi hanno convenuto di riunirsi, all’inizio in banali, più in là in complesse, strutture amministrative capaci di gestire i doni di Pan, Zeus, Thon, Dio, Allah etc.

Per via della sacralità del ruolo, in quanto organizzatori e distributori delle ricchezze volute da un Ente Supremo, hanno ritenuto opportuno disciplinare (primariamente in forma orale, successivamente “per tabulas”) le “leges”. Tante “leges” unite tra di loro, dopo essere state divise per tematiche (penali, civili, amministrative, tributarie) hanno costituito lo “ius”. Da qui, una prima concezione di giustizia  è l’adeguamento da parte delle persone fisiche a un complesso normativo.  Un altro problema, sollevato a partire dalla metà del Seicento, con l’avvento dell’Illuminismo in Europa, verteva sulla sempiterna e incondizionata adesione alle leggi.


Scorrendo velocemente sulla linea del tempo, tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, Bertolt Brecht, a riguardo affermava: ”Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”. Nel caso in cui folli leader improntassero le proprie politiche su atteggiamenti legiferanti con cui la maggioranza non si confacesse, sarebbe dovere dei singoli, riuniti in comunità rovesciare con ogni mezzo possibile lo “status quo”.


Quanto si è certi che la parte della società, chiamata a giudicare sul giusto e sull’efferato, abbia agito sempre nella correttezza?

“Ius dicere” significa “dire il diritto” ed è la definizione di “giudice”.  In virtù del ragionamento sopra riportato, essendo stato il diritto creato per preservare i regali divini dalla ferocia degli stessi e poiché l’organo deputato all’interpretazione delle leggi si presuppone sia terzo, spesso capita che tale vincolo (di terzietà) non venga osservato. È compito di chi legifera sulla Terra, nel proprio territorio di competenza, indipendente per sua definizione da chi giudica sul bene e sul male, garantire l’equilibrio difensivo-accusatorio (soprattutto il primo) attraverso interventi normativi specifici.

E soprattutto, obbligo deontologico-morale di chi si esprime sulla colpevolezza, o innocenza etc. di un individuo è l’essere consapevole, a seguito di un processo “a divenire”, di incarnare la figura dell’Ente “in terris”, perché Quest’ultimo non può presenziare alle udienze fisiche.


“La giustizia non è di questo mondo”, non esiste dichiarazione peggiore. Nelle azioni buone, nella carità, nell’ apprezzare le diversità ma renderle eguali dinanzi alla Legge, nella giuste misure statali per garantire “erga omnes” i diritti inalienabili di Hobbesiana memoria. In tutto ciò consiste la perfettibilità della giustizia dalle nostre parti.




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