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La Guerra del Grano

Di Ilaria Telesca


Le incessanti difficoltà economiche e sociali che dal 24 febbraio 2022 travolgono il nostro Continente hanno colpito, questa volta in maniera particolare, i Paesi dell'Est Europa, quelli che dal primo giorno sono stati fermi e compatti nel sostegno a Kiev.

Negli ultimi giorni il settore maggiormente ferito è stato quello dell'agricoltura, ma spieghiamo in breve ciò che è successo: il blocco di alcuni porti del Mar Nero dovuto alla guerra ha imposto che enormi quantità di grano e di cereali si fermassero in Paesi come la Polonia, la Slovacchia e l'Ungheria anziché essere subito esportate in tutta Europa e transitare, quindi, verso le destinazioni definitive.



Ciò ha causato non solo una congestione dei mercati locali, ma anche una maggiore offerta e il conseguente crollo dei prezzi.

Gli agricoltori locali si sono ritrovati costretti ad abbassare i prezzi e a concorrere con un grano il cui valore già in partenza è inferiore del 30% rispetto a quello dei Paesi esteuropei.

Come se non bastasse, per Kiev si è fatta un'eccezione rispetto a quanto disposto dalla Politica Agricola Comune (PAC) dell'UE che, oltre a diverse misure per incentivare l'agricoltura europea, prevede metodi per fronteggiare la concorrenza sleale, come dazi e imposizione di prezzi maggiori per l'importazione da Paesi non membri: per l'Ucraina, invece, le istituzioni europee hanno scelto di sospendere queste misure e, anzi, favorire il mercato di Kiev attraverso le cosiddette "Solidarity Lanes”.

Gli agricoltori dell'Europa dell'Est, ovviamente, hanno cominciato a contestare queste scelte e a richiedere fortemente le tutele che spettano loro.

Queste importanti mobilitazioni da parte del popolo hanno fatto sì che i governi di Polonia, Ungheria e Slovacchia chiudessero le frontiere al grano e agli altri cereali provenienti dall'Ucraina.

Decisione per cui l'Unione Europea non ha saputo reagire con fermezza: sempre secondo la PAC, queste azioni sono di competenza diretta dell'Unione, quindi non possono essere accettate decisioni unilaterali prese dai singoli Stati, eppure la stessa UE, che avrebbe in tal caso ragione a livello normativo, ha preferito rispondere in maniera moderata con semplici raccomandazioni e dialogo con queste Nazioni, affinché tornino a rispettare i piani europei.

I Paesi orientali hanno accettato di aprire le proprie frontiere solo per lasciar transitare il grano ucraino, non per la sua vendita.

La motivazione, come detto, è semplice: se si accettasse di ripristinare la situazione, il mercato nazionale avrebbe un forte crollo e l'agricoltura locale sarebbe in totale svantaggio, creando così ulteriori condizioni di difficoltà (oltre quelle già esistenti sempre a causa della guerra) a tanti lavoratori e a tante famiglie.

L'UE ha adottato questa strategia più morbida per evitare che l'Est Europa, pedina fondamentale per il sostegno a Kiev, possa avere più ragioni per emarginare il Paese di Zelensky rispetto a quelle per supportarlo.

Sarebbe una grande sconfitta per l'istituzione che ogni giorno continua a mandare armi e strumenti militari ad una delle due parti, fomentando una guerra molto delicata e che ha bisogno, una volta per tutte, della parola "fine".

L'Europa orientale, data la sua posizione geografica, sta subendo disagi che sembrano distanti da noi ma che, in realtà, ci riguardano molto da vicino.

Dovremmo prevedere che, se la situazione continuasse ad essere questa, quest'attacco all'agricoltura nazionale potrebbe ripetersi in ogni Paese membro.

Negli ultimi mesi abbiamo parlato tanto di Made in Italy e di quanto sia fondamentale per la nostra Nazione, a livello economico ma anche culturale, difendere strenuamente i prodotti locali, il mercato italiano e le aziende dei nostri territori.

Ci battiamo contro la carne sintetica e contro la farina di grillo proprio per fermare la forte avanzata delle multinazionali e delle imposizioni dei Paesi stranieri, favorendo al contrario le piccole, medie e grandi imprese italiane che, soprattutto nel settore agricolo ed alimentare, primeggiano in tutto il mondo.

I Paesi dell'Est e tutti i Paesi europei, seppure non abbiano mai esitato nell'aiuto all'Ucraina, dopo un anno si sono ritrovati ad un bivio, costretti a scegliere una delle due strade.

La prima è quella di supportare incondizionatamente Kiev, non avere prospettive nel caso in cui questa guerra non dovesse finire o averne poche anche quando cesserà, abbandonare i propri agricoltori e conseguentemente far crollare il proprio mercato agricolo.

La seconda strada è quella di rifiutare di essere succubi di una guerra fomentata da altri (e di cui siamo burattini) per la quale non si cerca davvero la pace, non lasciare che i protagonisti dello scontro si cullino sull'appoggio integrale di Paesi terzi, restringere i vantaggi di chi crea danni alla stabilità nazionale, andare incontro ai propri lavoratori e favorire il proprio mercato, dare priorità alla sovranità, all'autonomia della Patria e al benessere della comunità.

L'Est Europa ha scelto la seconda strada, sperando mantenga questa visione.

È necessario che l'Europa intera riprenda in mano il suo destino.

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