di Maria Vittoria Giglio
Da sempre è stato, quasi giustamente, inculcato che la Costituzione ha cercato di essere sopra le parti.
Peccato che i Padri costituenti fossero esponenti politici, nonché, a loro detta, “vincitori sul grande nemico fascista” e che il fenomeno ultimo abbia riscontrato un’eco udibile tutt’oggi, a settant’anni dall’entrata in vigore.
Si è passato dall’invano sforzo di far scrivere, nell’articolo 1, al posto del sacrosanto “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, “fondata sullo statuto dei lavoratori” al 14 gennaio 2023 con i pugni errabondi in aria come volatili privati delle ali per dirigersi verso il concetto a loro abominevole, LIBERTÀ e al contempo rinchiusi nel retaggio più bieco e melense che costituisce la prigione dentro cui hanno censurato, autorizzato e sepolte vive pagine di storia.
Vieppiù, per rimarcare l’esperienza di stampo comunista hanno riproposto l’inno dell’URSS.
È giusto ricordare a chi, suo malgrado, ha dimenticato le aberrazioni della dittatura rossa, il monopolio culturale utilizzato come strumento per educare senza istruzione, per veicolare senza incentivare le critiche cioè plasmando perfetti robot apatici a immagine e somiglianza di un dio supremo. E soprattutto “cui prodest”? Il segretario generale di un sindacato, qualsiasi colore esso sbandieri, dovrebbe rendere le istanze, si presuppone copiose, degli iscritti o tesserati, dirsivoglia, le battaglie da riverire e per le quali combattere. I sindacati, in un certo qual modo coadiuvano il legiferare spinti dal quell’opera sublime del Creato chiamata pensiero. Spassionato, incondizionato, rispettabile e non obbligatoriamente condivisibile; “va’, oh pensiero” e illumina gli animi sottili dei codardi.
Nel frattempo si aspetterà che Landini smetta di elogiare regimi nefasti, che, alla stessa stregua del "male assoluto" fascista, hanno portato all’annientamento di interi popoli. E che, per i motivi sopra citati, venga introdotta l’apologia del comunismo!
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