Di Mattia Ferrarese
9 Settembre 1998.
Lucio Battisti ci lascia con il suo solito modo di fare: solerte, intimo, silenzioso.
Ma al tempo stesso rivoluzionario, colorato, rumoroso.
Isolato negli ultimi anni di una vita spentasi troppo presto, vissuta nel dolore delle cure lontane dai rumors della cronaca rosa ed evanescente come il bollettino medico, che chiude tra le note, la leggenda che non morirà mai.
E ci ritorna in mente, a 25 anni da quella camera dell’Ospedale San Paolo di Milano dove tutto quello che sarebbe dovuto finire, forse è solo iniziato.
Gira ancora lento il vinile tra pop, funk, soul, una punta di blues e quelle atmosfere jazz-rock progressive ereditate dagli anni ‘60 e rivisitate in chiave tutta italica nel decennio successivo.
Un genio, forse il più alto mai visto nel panorama nostrano, capace di una carica persuasiva inarrivabile: Lucio era mistero e al tempo stesso il più grande amico che si possa mai trovare nei testi di una canzone.
E allora sì, viaggiamo ancora una volta pur essendo figli della generazione che l’ha vissuto veramente, ma da cui ereditiamo orgogliosamente un bagaglio simile.
Ora, poi, che finalmente la digitalizzazione ce l’ha proposto in rete e sulle maggiori app di diffusione musicale: non ci sono davvero più scuse per poterlo ascoltare e riascoltare, tra la nostalgia di qualche tono sbiadito dal tempo e qualche ardito acuto, mai davvero riproducibile a pieno.
Fuori da ogni logica polarizzata e politica di molti altri artisti italiani, Lucio amava la sua solitudine e la sua ombra lontana dai riflettori: simbolo di una lotta, lontana dall’ostentazione degli onori, non può che diventare una bandiera da portare fieramente per ognuno di noi.
Anticonformista non riconducibile espressamente alla sinistra, venne sorvegliato dai servizi segreti per presunto finanziamenti al Comitato Tricolore: ieri, come oggi, se nello show business non ti piegavi ai canoni dei diktat rossi, rischiavi la persecuzione.
Forse anche per questo ci piace ogni anno sempre di più. Nessuna etichetta, di certo non quelle imposte dal pensiero unico che già 40 anni fa serpeggiava tra l’opinione pubblica e le sottoculture metapolitiche.
La rivista l’«Italiano» di Pino Romualdi elogiava Lucio così: «Non si è lasciato intruppare fra gli pseudo-artisti di sinistra che si appoggiavano alla macchina propagandistica del partito comunista (…). Chi, come lui – scriveva Daniele Gaudenzi – non va in cerca di una facile popolarità, ma sa di essere autenticamente anticonformista, possiede una personalità propria e non rinuncia ad avere delle idee… Non esita a frequentare i suoi veri amici della destra e a manifestare concretamente la sua solidarietà anche quando ciò può apparire inopportuno».
Allora nelle sedi, nei comitati, nei circoli facciamo ancora risuonare il nostro canto libero con i suoi cieli immensi ed il suo immenso amore, per altri mille anni.
Non c'è mai troppo spazio per chi non si allinea. Troppo spesso si sceglie un campo contro qualcuno o qualcosa. In questo caso si tratta di non farsi tirare per il bavero, la sperimentazione e la ricerca ha portato Battisti oltre i suo tempo, è per questo che quando si è spinto l'approfondimento è occorso più tempo per assimilare la sua grandezza. Per certi versi mi ricorda Edoardo Bennato, per quanto di parte avversa ha sempre portato avanti delle denunce anche quando sono state prese solo per "canzonette". Così tante denunce contenute nei testi cantati da Battisti, sembrano scritte questa mattina. Segno indelebile del nostro (almeno del mio che ho superato i 50) tempo.