MAGNETE INCONTRA | intervista a Pietrangelo BUTTAFUOCO
- Redazione
- 31 gen 2022
- Tempo di lettura: 4 min
di Marco Gaetani

Aspettavo l’incontro con Pietrangelo Buttafuoco come si aspetta il proprio turno per affrontare un esame universitario. L’ho atteso con un po’ d’ansia (sarò all’altezza?) e con il timore reverenziale che si deve a chi è a un gradino sopra di noi. In questo caso si tratta di qualcosa di più di un gradino, almeno una scalinata.
Ho sempre nutrito stima nei confronti di Pietrangelo Buttafuoco. Giornalista, scrittore, conduttore, opinionista. Aggiungerei intellettuale ma è un appellativo che non gradisce, sicuramente un personaggio eclettico. Rompiamo il ghiaccio con un caffè e un succo di frutta, e poi via con l’intervista. Inizio col ringraziarlo: con lui Magnete apre una nuova rubrica dedicata al confronto con personalità di spicco del mondo della cultura e della politica. Mi ferma subito.
«Bello Magnete. Una bella idea come testata, oltre che una bella realtà.»
Buttafuoco ai miei occhi non è più un docente universitario, e io non sono più uno studente. Il nostro diventa un dialogo, uno scambio libero di opinioni. Un po’ sollevato, un po’ lusingato, procedo con l’intervista.
Lei è stato dirigente nazionale del Fronte della Gioventù. Come la sua esperienza di militanza giovanile ha influito sul suo percorso di vita? Vede un filo conduttore tra la militanza giovanile di allora e quella attuale?
«Ha influito totalmente. È grazie alla militanza se ho iniziato a macinare libri, la mia vita pubblica è nata dall’esperienza politica. È una cosa che consiglierei vivamente, se non fosse che adesso c’è uno scarto spaventoso tra l’entusiasmo della politica e la realtà “politicante”.»
Come ha visto queste elezioni per il Quirinale? E qual è il suo punto di vista sulla storica battaglia della Destra per il presidenzialismo?
«La battaglia sul presidenzialismo non mi ha mai emozionato. Se posso parlare in punto di sincerità, non mi considero neanche repubblicano.»

In quanto uomo del Sud, ritiene che sia più difficile per chi proviene dal mezzogiorno riuscire ad affermarsi politicamente e professionalmente? Esiste una sorta di pregiudizio?
«No, anzi, sono una risorsa e hanno anche un vantaggio. Non c’è dubbio che la cultura che il sud ha espresso sia ingente e straordinaria. C’è però un atteggiamento provinciale, che non tocca solo il sud ma è in generale un sentimento diffuso in Italia, che non consente di veicolare e di far vivere questo grande lascito culturale. Io mi appoggio spesso al cosiddetto teorema di Massimo Cacciari, il quale sostiene, giustamente, che un genio che nasce a Castelvetrano è misconosciuto da tutti, mentre un qualunque imbecille che nasce ad Heidelberg viene immediatamente catalogato come filosofo. Se ci pensiamo, nel sud, basta fare un nome: per gli italiani Giovanbattista Vico è quasi uno sconosciuto, allo stesso tempo Leibniz è già riconosciuto dai tedeschi e in tutto il mondo. È un problema tutto nostro.»
Quanto influisce il potere dell’informazione sul dibattito pubblico e fino a che punto è importante che questa sia imparziale?
«Con i buoni propositi non si fa mai niente, né tantomeno con le normative su cui imporre quello che si deve dire, come e se si deve dire. È un meccanismo che spontaneamente deve essere costruito sulla qualità, sulla velocità e la pregnanza attraverso cui il linguaggio identifica un canone su cui far viaggiare non solo le informazioni ma anche i contenuti. Indubbiamente, abbiamo davanti una scena che potrebbe essere la rissa in galleria: siamo in questa splendida tela che racconta la stagione interventista futurista a Milano, o le giubbe rosse a Firenze dove si vedono tuoi coetanei che si confrontano, dibattono. Avevano una capacità, una effervescenza immediata che andava sulle parole, sulla scrittura, sulle idee. La stessa cosa si ripete oggi, ma in un altro ambito, ne sono sicuro. Noi non dobbiamo avere pregiudizi nei confronti degli strumenti che vengono utilizzati, compreso lo smartphone, perché sono cambiati i modelli attraverso cui far viaggiare le parole, i contenuti e le suggestioni. La capacità e l’abilità politica è saperne fare sintesi e nel saper costruire un progetto e una visione, che è ciò che oggi manca.»
Vuole lanciare un messaggio a Magnete? O, in senso lato, alla generazione oggi impegnata nel movimentismo giovanile?
«Facciamo uno slogan secco e semplice: meno avvocati, più ingegneri. Senza nulla togliere agli avvocati, noi abbiamo bisogno di recuperare la triplice radice dell’ingegno dell’identità italiana, ovverosia, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Guglielmo Marconi. Tutto ciò che passa attraverso l’incastro di ragione, genio e ingegno e ciò che costruisce, che fabbrica ciò che, nella sostanza, è l’essenza di ciò che il mondo ricerca e vuole: la tecnologia, la capacità di sfidare le stelle, raggiungerle e dominare lo spazio, ciò che è sempre stato l’orgoglio e il blasone che la retorica ha voluto identificate sul frontone del Palazzo della Civiltà Italiana dell’Eur: poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori. Ma andiamo avanti, esploratori, inventori, tutto in un contesto che è quello di dare il senso stesso dell’universalità attraverso una grammatica di fondo, che è il ritmo poetico dell’aritmetica, e quindi la scienza, la ricerca e la tecnologia.»
Ci salutiamo.
Lo incontro nuovamente di sera, all'evento organizzato da Leccesì all'Auditorium del Museo "Sigismondo Castromediano" di Lecce, per assistere alla presentazione del suo romanzo Sono cose che passano: la sala ha raggiunto il massimo di presenze consentito e, mentre continuano ad arrivare spettatori, Buttafuoco fa di quel piccolo rialzo su cui è seduto un vero e proprio palco da cui incanta il pubblico con la sua teatralità. Passa dai Canti Pisani di Ezra Pound (Quello che veramente ami rimane, il resto è scorie) a Via Lattea di Battiato: una rassegna di immensi, più che piccole citazioni, come se tutto fosse unito da un unico filo logico dettato dalla sua incredibile, per grossi tratti politicamente scorretta, narrazione delle cose. Tra, è proprio il caso di dirlo, applausi a scena aperta.

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