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Mattarella, super partes solo in parte



Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riguardo i recenti e chiacchierati fatti di Pisa ha richiamato all’autorevolezza il Ministero dell’Interno e le Forze di Polizia, rompendo quello che per alcuni era un silenzio imbarazzante.

Per altri, la presa di posizione di Mattarella lascia delle perplessità.


Al di là del merito dei fatti, è giusto che il Presidente di una Repubblica parlamentare si sia esposto così tanto su un avvenimento che ha assunto un carattere squisitamente politico nell’arco di poche ore, per di più lasciando aperti punti interrogativi sulle reali dinamiche dell’accaduto? La risposta è no, non è stato giusto. Risposta che tuttavia stimola un altro interrogativo: perché, allora, l’ha fatto?


Per rispondere è necessario fare dei passi indietro di qualche anno e inserire in questa riflessione un concetto fondamentale, giornalisticamente definito “Presidenzialismo de facto” (con accezione disprezzante, “monarchia presidenziale”).

La figura che ha inaugurato questa fase della nostra Repubblica non è Sergio Mattarella, bensì Giorgio Napolitano, che il New York Times ha ben pensato di soprannominare “Re Giorgio”. La lunga presidenza targata PCI si apre con l’insediamento quasi simultaneo del governo Prodi e nel corso di essa ben 5 governi hanno giurato nelle mani del Presidente.

La stella polare di Napolitano, a detta sua, era la stabilità della Repubblica. D’altronde è il Presidente che ha traghettato l’Italia attraverso la crisi del 2008 e le elezioni del 2013, dunque la sua ricerca di stabilità guardava sia al versante economico che quello politico.

Il suo modus operandi fu però molto diverso da quello utilizzato dagli altri Presidenti della Repubblica. Infatti predilesse un marcato interventismo nelle dinamiche politiche (emblematiche sono le consultazioni internazionali che tenne con i grandi della terra affinché il Governo Monti potesse diventare realtà). Tuttavia ciò che ne conseguì non fu una ritrovata stabilità, quanto una normalizzata instabilità.


Divenne normale infatti che il Presidente fosse il supplente del parlamento, decidendo con ampia autonomia chi e quanto dovesse governare. Nell’influenzare crisi di governo e nascita di nuove maggioranze, naturalmente, ha dettato la linea politica del parlamento e del governo.

Un interventismo così marcato da parte del Presidente ha finito per snaturare e indebolire un assetto istituzionale già zoppo. Il culmine di questo parlamentarismo debole lo si raggiunse con la rielezione di Napolitano stesso, una rielezione contestata anche dal Presidente, il quale però non si rese conto, forse, che fu proprio la sua politica a premere l’acceleratore sulla morte cerebrale del parlamento.


Oggi con Mattarella il quadro della situazione non sembra cambiato. L’idea che muove le decisioni del Colle è sempre quella della stabilità, e con Mattarella questa stabilità si è manifestata con il blindare il parlamento della scorsa legislatura. Un Parlamento che in più di un’occasione meritava di essere sciolto, forse anche sul nascere, dopo quell’inconcludente 4 marzo 2018. Un Parlamento che andava sciolto dopo il naufragare di quell’improbabile esperienza giallo-verde, al termine del quale non c’erano ragioni per continuare a spingere i partiti a tradire le promesse pre-elettorali. Un Parlamento che andava senz’altro sciolto al termine della seconda disastrosa esperienza Conte, ma in quel caso il Presidente ha deciso che la situazione catastrofica ed emergenziale non permetteva di votare (nel frattempo, milioni di persone in tutto il mondo votavano), e allora ecco il più significativo testimone che Re Giorgio ha passato a Re Sergio: l’unità nazionale.

Ergo, un governo a completa disposizione del Colle e dell’Europa.


Un Parlamento così blindato che ha a sua volta deciso di blindare il suo garante per un secondo mandato.

Prima ho detto che il culmine del parlamentarismo debole fu la rielezione di Napolitano, effettivamente mi sbagliavo, perché errare humanum est, perseverare autem diabolicum.

Una situazione che ci costringe ad una riflessione importante sull’aspetto che le nostre istituzioni hanno assunto e su come i confini dei compiti delle più alte cariche dello stato debbano essere rimodulati.


Constatato che un sistema puramente parlamentare abbia fallito e che un sistema nei fatti ibrido snatura la Costituzione e le Istituzioni non resta che accelerare sulla madre di tutte le riforme: la riforma istituzionale.






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