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MISSIONE GIUSTIZIA

Di Maria Vittoria Giglio


Dal greco “Δίκη” figlia di Zeus, mutuata da Roma “Iustitia” tanto importante che Augusto le dedicò un collegio sacerdotale.

Come mai, ci si domanda, è andata scemando la tradizione sacrale legata al fenomeno in una parte del globo, da sempre definita avanguardista e si è preferito strumentalizzare, cioè profanare il fattore per eccellenza di risoluzione delle discordie, o peggio, creare un disequilibrio tra le parti della bilancia sorretta dalla prole gioviana?

Atene, VI-V secolo a.C., campionessa della democrazia ovunque, esempio lampante, nonché prova di maturazione civile, erano le Grandi Dionisie, eventi ludici svolti parallelamente alle Olimpiadi, dove i tragediografi si sfidavano a suon di esametri e per decretare il vincitore si ricorreva al SORTEGGIO del collegio giudicante.

Italia, giugno 2022: referendum giustizia, in uno dei cinque quesiti vi è la fatidica domanda sulla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, fondamentale se solo gli aventi diritto avessero saputo di che cosa si trattasse.

Eppure nell’Attica, già duemila anni fa si era intuito che, in qualsiasi contesto (pubblico, amministrativo, sociale più in generale) l’elezione di un κριτής non avrebbe dovuto esistere e che, di conseguenza, la causalità della sorte avrebbe accontentato, su tutto, l’eguaglianza garantita solo dall’ὅσιον (elemento sacro) della giustizia.

Il parallelismo è azzardato, la giuria menzionata doveva occuparsi di selezionare l’opera dell’anno e non di determinare sulla vita altrui, ma tuttavia, nel nostro Paese, se vi fosse stata una solerte campagna di sensibilizzazione alla scoperta dapprima di alcuni organi costituzionalmente riconosciuti , in seguito del correntismo venutosi a creare in ambienti che ne dovrebbero essere scevri, il popolo italiano, alla stessa stregua di quello ateniese del quinto secolo avrebbe potuto esprimere il suo fermo dissenso sul sistema delle nomine, coperte da pantomimiche votazioni.

“La legge ne garantisce la giusta durata”. Centoundicesimo articolo della Costituzione- in riferimento al ragionevole tempo per emanare una sentenza definitiva.

La neonata riforma Cartabia ha permesso la procrastinazione atavica delle udienze, alcune di queste, anche prima della sua entrata in vigore, dibattute su argomenti non degne di un’aula di tribunale!

Al fine di sburocratizzare la complessa macchina giudiziaria, i nostri avi, nella Curia, dividevano il processo in due fasi: IN IURE e APUD IUDICEM, la prima, erroneamente associabile all’odierna figura del giudice di pace, sentendo la causa dell’attore, colui che mediante “VOCATIO IN IUS” chiamava il convenuto, optava tra il procedere e il fatto sarebbe finito letteralmente “sotto un magistrato privato” e l’istituto della “DENEGATIO LEGIS” dunque impossibilità di andare oltre.

“La legge tace durante i tempi di guerra”, quindi dall’orazione “Pro Milone”, occasione in cui Marco Tullio Cicerone introdusse questa massima, tutt’oggi giustificatrice di pastrocchi giudiziari ed eliminatore aggraziato degli oppositori, si può dire che siamo in stato di belligeranza contro un concetto divino, assoluto, che rende il singolo ugualmente libero ai suoi mortali pari.

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