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Nagorno Karabakh, declino della civiltà

di Ilaria Telesca


Il Nagorno Karabakh è un territorio conteso tra l’Armenia e l’Azerbaijan.


Tale controversia affonda le sue radici nella storia, in particolare la questione si accende dopo la Rivoluzione Russa, quando il Nagorno comincia ad essere oggetto di disputa tra le due Regioni, nonostante la stragrande maggioranza della popolazione fosse armena.

Stalin poi, nel 1920, assegnò il territorio all’Azerbaijan fino alla caduta dell’URSS: nel 1991, infatti, la Repubblica dell’Artsakh si autoproclamò indipendente. Questa decisione provocò la reazione degli Azeri, sfociando in un conflitto che si concluse con un cessate il fuoco nel 1994; dopodiché fu affidato al Gruppo di Minsk il compito di monitorare la situazione.

Nel 2020, però, l’Azerbaijan riaccese le ostilità: questa volta fu affidata a Mosca la risoluzione, che annunciò una tregua tra le parti e lo schieramento di forze di pace russe sul confine.


Da questa seconda guerra, però, nonostante gli scontri armati siano diventati meno frequenti, le tensioni non si sono mai attenuate definitivamente, con incessanti crisi diplomatiche.

In particolare, nel 2022, significativa fu la chiusura da parte dell’Azerbaijan del Corridoio di Lachin, strada di 5 chilometri che collega il Nagorno e l’Armenia. Il Corridoio era fondamentale sia perché unica via di accesso alla Repubblica separatista per i rifornimenti e gli aiuti umanitari provenienti dall’Armenia, sia perché collegamento politico tra le due Regioni legate dalla stessa etnia e cultura.

Il Governo azero ha deciso di chiudere la strada perché, a suo avviso, i convogli della Croce Rossa avrebbero trasportato merci di contrabbando come benzina, sigarette e cellulari; dichiarazioni che, ovviamente, La Croce Rossa ha immediatamente smentito.

Questa decisione è stata chiaramente presa con cognizione di causa, per isolare in tal modo l’Artsakh e per rendere la sopravvivenza degli armeni separatisti molto complicata.

Il 19 settembre 2023, infine, dopo mesi di tensioni e sanguinosi scontri, l’Azerbaijan ha riaperto definitivamente il conflitto in Nagorno con un’azione militare giustificata con la lotta al terrorismo, ma col vero fine di riprendere una volta per tutte il controllo della regione e cacciare le milizie armene separatiste.

Operazione riuscita, dato che il 28 settembre il presidente del Nagorno-Karabakh, Samvel Sahramanyan, ha annunciato la fine della Repubblica dell’Artsakh che, quindi, cesserà di esistere dal 1 gennaio 2024.


L’imponente esodo degli armeni cattolico-ortodossi (sia prima che dopo la dichiarazione del leader separatista) non ha avuto alcun riscontro da parte del resto del mondo; hanno tutti girato la testa dall’altra parte, ovviamente per questioni di opportunità che, anche davanti le difficoltà umanitarie, prevalgono nel momento in cui bisogna prendere una posizione.

La Russia, che avrebbe dovuto essere garante di pace nel territorio, ha preferito evitare ulteriori tensioni nel Caucaso, oltre che non rovinare i rapporti con la Turchia, principale supporto della minoranza azera nell’Artsakh, soprattutto con la guerra in Ucraina ancora in corso. I rapporti tra Mosca e Armenia, inoltre, si erano ultimamente incrinati a causa dell’interesse armeno di iniziare ad avvicinarsi all’UE.

L’Occidente, anche questa volta, ha preferito fare orecchie da mercante, nonostante la situazione sia molto simile a quella tra Russia e Ucraina. Questa volta, però, niente sanzioni, niente ripercussioni sul Governo azero e il motivo è semplice oltre che scontato: l’Azerbaijan è un importante partner commerciale e fornitore di gas per l’Europa e, soprattutto, per l’Italia.


Il denaro, come sempre, risulta essere più importante della vita e della libertà; dopo aver chiuso i rapporti commerciali con la Russia solo per obbedire a un diktat esterno, non potevamo mica toglierci anche questo sbocco economico per una motivazione valida, “solo” per sostenere la causa di un popolo cattolico che pretende la propria autodeterminazione, giusto?


In Occidente funziona così, la sovranità è un lusso che pochi si possono permettere e la differenza tra oppressore e oppresso è discrezionale.

La disparità di trattamento tra due situazioni estremamente simili, però, è disarmante.


Il Nagorno Karabakh per anni ha subito bombardamenti, morti innocenti, discriminazioni etniche e religiose.

Eppure le Nazioni Unite si sono ricordate di mandare una propria delegazione per la prima volta in tre decenni solo il primo ottobre, quando gli armeni rimasti in Nagorno si contavano già sulle dita di una mano.


Lo scioglimento della Repubblica dell’Artsakh è un pagina buia della storia che non siamo riusciti a evitare.

Un popolo oppresso ha dovuto abbandonare da un giorno all’altro le proprie case, le proprie abitudini, la propria Patria. Ha perso i diritti più importanti che spesso dimentichiamo, il diritto alla casa, il diritto alla libertà, il diritto all’autodeterminazione.

Quest’avvenimento è tragico ed è estremamente irragionevole che non abbia le conseguenze che avrebbe avuto, invece, qualsiasi situazione simile ma funzionale al sistema; altrettanto ingiusto, però, è che non abbia l’adeguata visibilità così come quelle situazioni scomode al sistema (tipico esempio è quello palestinese).


La nostra generazione deve distaccarsi da questo modo di operare, non possiamo chiudere gli occhi e far finta di non vedere un vero e proprio sterminio di popoli e di culture.

Gli Armeni, cattolici e nostri fratelli, meritano di avere il supporto europeo.




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