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Giuseppe Terone

Nazione: obbligo o illusione?

Aggiornamento: 1 mar


La leggiamo, noi, la nostra Costituzione? Poco, non nascondiamocelo. Per di più con poca attenzione. La nostra Carta nasconde alcuni dettagli importanti. Dettagli da cui più che risposte scaturiscono oscure domande.


“OGNI MEMBRO DEL PARLAMENTO RAPPRESENTA LA NAZIONE ED ESERCITA LE SUE FUNZIONI SENZA VINCOLO DI MANDATO"


Recita così l’Articolo 67 della Costituzione. Piuttosto da approfondire sono gli interrogativi che sorgono enigmaticamente da un Articolo del genere, tanto breve e conciso quanto spericolato nell’utilizzo delle parole.

La Costituzione si preoccupa di sottolineare che ogni parlamentare non agisce per sé, ma per la Nazione. Non usa la stessa premura, però, nel dire cos’è questa fantomatica Nazione. Non si cura mai, cioè, di fornirne una definizione giuridica: ne parla, ma chissà cos'è.

Tragedia. Tragedia, beninteso, per chi abbia voglia di conoscere la politica. Nessuna tragedia - ma solo belle parole - per chi oggi la politica è abituato a farla arrestandosi ad una modesta superficie. La polemica che solleverebbe la contemporanea politica degli slogan, però, è davvero poco interessante, seppur e riscuoterebbe un grande - ma volatile - successo.

Non avendo chiare indicazioni, muoviamoci per interpretazioni.


Etimologicamente la Nazione deve le sue origini al latino “natio, -onis ”, derivato del verbo “nascere”. Seguendo questo filone, dentro la Nazione ci si nasce. Una cittadinanza acquisita (per chi e per come non importerebbe) comunque non varrebbe l’appartenenza alla Nazione. Insomma: si è ateniesi solo se nati da genitori ateniesi. Una concezione, questa, non solo nativista ma anche piuttosto ristretta.

La Treccani, dal canto suo, riporta che la Nazione è


“Il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia"


Il parlamentare avrebbe, stando a quanto detto, il compito di occuparsi e rappresentare chi con lui ha comunanza di origine, di lingua e di storia. Alt. Fine delle sue prerogative. Ancora più indicativo (e degno di riflessione) diviene il giuramento che compiono i membri del nostro Governo:


“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e leggi e di esercitare le mie funzioni nell’ interesse esclusivo della Nazione"


Ma chi decide qual è l’interesse esclusivo della Nazione? Come lo si decide? L’unica soluzione che si è rimediata risiede nelle elezioni, nell’applicazione della legge della maggioranza, ancora oggi unico metodo per una funzionale aggregazione delle preferenze.

Ma se non quello della Nazione, quali altri interessi potrebbe perseguire un parlamentare?

L’eletto non può fare gli interessi esclusivi del suo collegio . La Nazione è un tutt’uno e la Repubblica è a sua volta una e indivisibile Ma allora come mai sono costituzionalmente tollerati partiti come l’SVP ? Perché la Lega Nord degli anni ’90 non è andata incontro a scioglimento per attentato alla Repubblica o perseguimento di un interesse contrario a quello della Nazione? Si fa presto a domandare, più difficile è rispondere.


L’eletto non può, di conseguenza, occuparsi direttamente dell’interesse dei suoi elettori, ma dovrebbe mirare a quello di tutti. E perché mai dovremmo spendere il voto per un candidato piuttosto che per un altro se, in fin dei conti, tutti debbono fare le medesime cose?

L’eletto non ha da rispondere alla sua ideologia, giacché perpetrerebbe egoisticamente azioni di suo interesse, o di quello di una parte. E qui viene il bello: il parlamentare non dovrebbe neppure rispondere alle logiche di partito. La parola stessa “partito” guadagna un significato diabolico dalla sua etimologia : dal latino "pars, partis” che significa, per l’appunto, “parte”. Dacché, scopriamo che i partiti sono temibili nemici della

Nazione, sono spregevoli assassini dell’unità nazionale, ipocriti cospiratori della politica.


Per adempiere a quanto prescritto dall’Articolo 67 della Costituzione non dovrebbero esistere i partiti. Il sistema politico dovrebbe dotarsi di un unico contenitore amministrativo con il solo compito di organizzare le liste dei candidati al Parlamento, senza nessuna affiliazione partitica nonché faziosa e quindi anti-nazionale. In poche parole: occorrerebbe un miracolo.


Ma un momento. Poco sopra abbiamo detto che è la legge della maggioranza che orienta la bussola del decisore politico. È grazie ad un verdetto politico. È grazie ad un verdetto maggioritario (elettorale o parlamentare che sia) che si tengono i Governi. Ci sarà quindi qualcuno, anche solo un elettore, insoddisfatto dell’operato dell’esecutivo; qualcuno che non avrebbe scelto quei governanti, ma che farebbe volentieri accomodare altri in Consiglio dei Ministri. È qui che si perde, se già non si è persa prima frammentandosi in tante false verità la Nazione. Non era una sola la sua voce? Chi le starà porgendo l’ orecchio ? Chi le presterà la sua penna? Il Governo starà perseguendo l’interesse nazionale o no?


Non c’è criterio per rispondere a queste ataviche ed esistenziali domande della democrazia. Ma non finisce qui: proprio come ad una depressione esistenziale si risponde con medicinali che aiutano a star meglio, anche la democrazia consuma potenti farmaci. La prescrizione è chiara e ci rimena al punto di partenza: elezioni.

La panacea è il consenso, più precisamente il consenso della maggioranza. Esso tutto protegge, tutto giustifica, tutto rimedia.




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