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Nuntereggae più

di Cristina Milanese


“Forse ci piace pensare alla politica come a qualcosa per uomini moralmente e intellettualmente superiori, quindi degni di rappresentarci e di fare le leggi. E ci indigna scoprire che invece sono spesso mediocri, incapaci, o burocrati che si servono del nostro voto per fare carriera” (Oriana Fallaci, Intervista con la Storia)

Non ho mai guardato ai politici italiani odierni come a uomini illuminati o “intellettualmente superiori”. Come a uomini “mediocri, incapaci o burocrati”, in molti casi sì.

In primis perché credo nel significato nudo e crudo di politica; quello greco per cui l’aggettivo politikos designa ciò che attiene alla vita comune della propria polis. E se è vero che la politica non è qualcosa di facile e che “uno non vale l’altro”, credo - forse sbagliandomi - che per occuparti del bene della tua polis non basta dirsi o esser ritenuti “intellettualmente superiori”, anzi. Conta stoffa e spirito d’azione, fatti e non solo parole, sentimento e passione per il tuo Paese, elementi sconosciuti a certi politicanti.

In secundis proprio perché i più tra quelli che dovrebbero rappresentarci, uomini illuminati non lo sono di certo. Men che meno uomini moralmente superiori. E in Italia forse non ci si indigna neanche più a scoprirsi governati da tali personaggi. Sarà che ci si è fatta l’abitudine.

Abitudine a strambe alleanze, cambi di casacca , governi tecnici, presidenti del consiglio calati dall’alto e crisi di governo: elementi tipici di un’instabilità politica che sembra sempre più “stabile”, cristallizzatasi ormai in uno status quo tutto italiano. E’ fantastico notare come le crisi di governo che si sono susseguite in questa legislatura superino in numero gli anni che sono trascorsi dalle ultime elezioni politiche, in un 5 vs 4 fatto di “governi multicolor” e alleanze che non si tengono insieme. I soli ingredienti comuni a queste stravaganti ricette parlamentari sono senza dubbio giochi di potere, narcisismi, tornaconti personali ed elettorali e una sostanziale incapacità nel rispondere concretamente ai problemi della nostra povera Italia. Il tutto coadiuvato dal nostro sistema elettorale misto - prevelantemente a carattere proporzionale - per cui si formano maggioranze improbabili, costituite da partiti con programmi spesso inconciliabili. Programmi per cui gli elettori hanno votato, facendo la propria scelta, e che puntualmente non vedranno mai applicati, se non in minima parte. Ciò che ne vien fuori è un pastrocchio disgustoso per gli Italiani .

L’Italia è il Paese in cui si ipotizzano e minacciano crisi di governo, in una telenovela con episodi dal finale aperto. Teatrini romani che vanno in scena tra Quirinale e Palazzo Chigi, con copioni fatti di battute del tipo “Andate in vacanza, poi vi aggiorniamo”, citando il sedicente avvocato del popolo. Ma ecco che la trama si risolve come al solito nella spasmodica urgenza di rimettere insieme i cocci del vaso rotto, perché non-si-può-fare-a-meno-di-Draghi. Perché “Nessuno, in Europa e nel mondo, capirebbe un'Italia che manda a casa una delle premiership più stimate e credibili dell'Occidente come quella di Mario Draghi”, come ha detto la Carfagna. Come se a giudicare e a legittimare la credibilità di un governo debbano essere in primis le cancellerie estere solo dopo noialtri italiani. "Meglio Draghi che la Meloni”. Perché ormai è uso comune giudicare gli elettori e le loro eventuali scelte di voto. Fatto che non sorprende, considerando che i vari Conte e Draghi non sono di certo frutto di una scelta di voto. Costituzionalmente legittimi, sì. Espressione della volontà popolare, no. Una bizzarra democrazia, insomma. Vivace, dinamica. Fin troppo. Magari con la stessa vivacità e con lo stesso dinamismo ci si mettesse a lavoro per rispondere alle questioni più urgenti sul piano economico e sociale di oggi!




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